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Un furto con piccoli testimoni

 

 

Piccoli Imputati 

Curiosando tra antiche sentenze genovesi

 

 

UN FURTO CON PICCOLI TESTIMONI

 

(Sentenza del 25 settembre 1863)

 

 

 

PROTAGONISTI

Giuseppe T., di anni 13, nato e dimorante a Genova, detto per soprannome “Dispetto”, garzone muratore, abitante nella Montagnola dei Servi

Bernardo Casale di anni 8, testimone

Antonio Casale di anni 7, testimone

Gerolamo Gambaro, proprietario

 

LUOGO

Vicinanze di Salita San Leonardo

 

 

REATO

Furto

 

DATA

17 giugno 1863

 

 

         La sentenza in oggetto tratta di un episodio avvenuto nel giugno 1863 a Genova, presso Salita San Leonardo; il protagonista della vicenda è il tredicenne Guseppe T., soprannominato “Dispetto” (il che è già tutto un programma).

         Dunque, come recita il capo di imputazione nei suoi confronti, il giovane è stato accusato di furto qualificato per il mezzo, articolo 610 del codice penale, per avere la sera del 17 giugno 1863 rubato a pregiudizio di Gerolamo Gambaro, una mappa di ferro, un catenaccio, ed un lucchetto del valore di Lire 15 circa, strappandoli violentemente da un rastello provvisorio, destinato a chiudere un’area fabbricabile in vicinanza della Salita San Leonardo in Genova, di proprietà dello stesso Gambaro”.

         Dalle risultanze di causa emergeva che nella sera del 17 giugno il T. Giuseppe a pregiudizio di Girolamo Gambaro, in compagnia di altri ragazzi, manprese con violenza un catenaccio ed un lucchetto del valore peritato di lire 15 con i quali ferramenti tenevasi chiuso un cancello destinato a chiudere un’area fabbricabile posta nella salita di San Leonardo, ed infatti i due testimoni i fratelli Casale Bernardo ed Antonio tuttochè uno dell’età di otto e l’altro di sette anni nell’attuale imputato riconobbero all’udienza uno dei due ragazzi, i quali in quella sera con una spranga fecero tale violenza al detto catenaccio per cui tutto quell’operato di chiusura venne svelto dal detto cancello, e quindi dai detti ragazzi asportato. Siffatta ricognizione venne fatta dai detti ragazzi con molta sicurezza, tale che meritò le minacce del T. nel loro passaggio alla di lui presenza prima dell’udienza, per quanto il T. abbia siffatta circostanza negato nel modo medesimo che negò il fatto e la conferenza dei fratelli Casale nei quali la coscienza della cattiva azione da loro presenziata dal T. fu tale che nella loro tenera età avevano dissipato di segnalare il T. alle autorità di Sicurezza, e non avendo ciò potuto fare, si limitarono di renderne informato il proprietario stato derubato e danneggiato. Attesochè il discernimento del T. risulterebbe abbondantemente provato dalle risposte da lui date all’udienza, dalle di lui precedenti condanne. Attesochè nella fattispecie il furto al T. non potrebbe considerarsi qualificato, perché la rottura dei detti ferramenti non puossi considerare come mezzo di commettere altri furti, ma l’asportazione dei detti ferri costituì il fine e lo scopo della rottura medesima, né venne formato furto commettesse al di là dell’aperto cancello, chè anzi era fatto, i ragazzi, fra i quali il T., si porgono in fuga.

         Attesochè il T. sarebbe recidivo, parrebbe però minore degli anni quattordici

         Per tali motivi il Tribunale del Circondario di Genova, in data 25 settembre 1863, dichiara convinto il T. Giuseppe di furto semplice commesso con discernimento, in stato di recidività, e nella minorile età di anni quattordici. Letti gli artt. 622, 89 n. 4 e 123 del Codice Penale condanna detto Giuseppe T.a alla pena di mesi due di custodia, all’indennità che di ragione, ed alle spese”.

         Dai dati contenuti nella sentenza si può desumere che il T. doveva essere un “soggettino” da prendere con le dovute cautele; la presenza di precedenti penali nonostante la giovane età (addirittura nella sentenza si parla di precedenti condanne”: il plurale fa intendere che i reati da lui commessi in passato fossero più di uno), l’inquietante soprannome “Dispetto” attribuitogli (già precedentemente rilevato), la sequenza dei fatti avvenuti il 17 giugno 1863 a lui ascrivibili ed accertati nella sentenza, costituiscono elementi quanto mai indicativi a proposito della sua indole, che sembra decisamente orientata al crimine ed alla delittuosità.

         Secondo quanto risulta dalla sentenza, peraltro, il T. si è “accontentato” – per così dire - di rubare il materiale che serviva a tenere chiuso il cancello (composto, come si è visto, da lucchetti, mappa da ferro, catenaccio), chiamato riassuntivamente ed efficacemente dal Tribunale ferramenti; egli non ha invece portato la sua azione delittuosa alle estreme conseguenze, astenendosi dall’entrare nell’area delimitata appunto da quel cancello danneggiato ed evitando così ulteriori imputazioni con conseguente aggravamento della propria posizione.

         Dalla sentenza non risulta evidente il motivo per il quale il T. si è limitato ad “asportare i ferri” (per usare il linguaggio usato dal Tribunale nella sentenza); forse il bottino poteva già considerarsi soddisfacente, trattandosi di cose indubbiamente utili già di per sé.

         Esclusa l’ipotesi di un improvviso sussulto di onestà, viste le caratteristiche del reo già evidenziate in precedenza, l’accenno alla fuga contenuto alla fine della parte narrativa potrebbe far pensare ad una precipitosa ritirata dovuta a qualcosa o a qualcuno, magari allo stesso proprietario dell’area fabbricabile; tale ipotesi, peraltro, non trova nessun appiglio nella sentenza ed anzi appare espressamente smentita dal Tribunale, secondo cui l’asportazione dei detti ferri costituì il fine e lo scopo della rottura medesima”.

         Proprio questo fatto ha indotto il Tribunale a qualificare il fatto come furto semplice, e non come furto per commettere altri reati o altrimenti qualificato.

         Come si evince dalla sentenza il T. non ha agito da solo, ma era in compagnia di altri ragazzi, probabilmente non identificati (o di un altro ragazzo: sul punto la sentenza sembra contraddittoria, in quanto in un passo della sentenza si fa riferimento alla compagnia di altri ragazzi, in un altro a due ragazzi solamente, uno dei quali era lo stesso T.).

         Infine, non si può fare a meno di osservare un importante aspetto della sentenza: le testimonianze che, forse in modo decisivo, hanno permesso al Tribunale di ritenere provata la fondatezza dell’accusa a carico del T. provengono dai fratelli Bernardo ed Antonio Casale, rispettivamente di appena otto e sette anni di età; stupisce, almeno alla luce della sensibilità odierna, che il Tribunale abbia ritenuto decisamente attendibili le dichiarazioni da loro rilasciate, senza porsi alcun dubbio in considerazione della loro tenera età.

         Anche l’art. 196 del codice di procedura penale vigente dispone che “ogni persona ha la capacità di testimoniare”, quindi anche un minorenne; tuttavia, come ha affermato la giurisprudenza, “nel caso di dichiarazioni accusatorie formulate da minori, il giudice ha l'obbligo - al fine di escludere ogni possibilità di dubbio o di sospetto che esse siano conseguenti a un processo di auto o etero-suggestione oppure di esaltazione o fantasia - di sottoporre le accuse medesime ad attenta verifica onde accertare se le dichiarazioni o parti di esse trovino obiettivo riscontro tra di loro o con altri elementi di convalida già acquisiti, sì da potere escludere che esse possano derivare dalla immaturità psichica ovvero da facile suggestionabilità”. (Cass. pen, sez. III, 7 novembre 2006, n. 5002).

         Sembra quindi sussistere una piccola ombra sulla sentenza, ferme restando le considerazioni effettuate in precedenza a proposito delle caratteristiche di Giuseppe T.: il giovane tutto doveva essere, tranne un “santerellino” e un “bravo ragazzo”.

 

 

 

 

 

Fonte:

Archivio di Stato di Genova, Sentenze del Tribunale Penale di Genova, 4

 

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