Tanti contadini e qualche benestante

 

Tracce di Pedemonte

TANTI CONTADINI E QUALCHE BENESTANTE

 

 

Notizie tratte dagli atti di nascita e di battesimo (1838-1865) della parrocchia Santissima Annunziata di Pedemonte di Serra Riccò (Genova)

 

 

 

 

Breve premessa sulle caratteristiche degli atti di nascita e di Battesimo del periodo 1838-1865

 

 

I 728 atti di nascita e di Battesimo che sono stati esaminati sono relativi alla Parrocchia di Pedemonte negli anni 1838-1865; essi sono stati redatti sotto il vigore del Regolamento per la tenuta dei registri destinati ad accertare lo stato civile, approvato dal Re di Sardegna Carlo Alberto con le Regie Patenti del 20 giugno 1837.

Con tale provvedimento Carlo Alberto, come si legge nelle premesse, intendeva applicare agli usi dello stato civile, con gli adattamenti oggetto di disciplina da parte del Regolamento stesso a seguito degli “opportuni concerti colla Santa Sede”, i registri di Battesimo, di matrimonio e di morte “già da lungo tempo stabiliti in ciascuna parrocchia”, che avrebbero così dovuto “essere tenuti in modo uniforme in tutti i dominii continentali di Sua Maestà”.

Con particolare riferimento agli atti di nascita, il regolamento prevedeva espressamente quanto segue: “Negli atti di nascita si noteranno il giorno, l’ora ed il luogo della nascita, e del battesimo; il sesso del neonato, i nomi che gli saranno stati imposti, i nomi, cognomi, la professione ed il domicilio del padre e della madre, del padrino e della madrina”.

L’atto formato dal Sacerdote aveva dunque rilevanza civile-amministrativa ed era idoneo ad attestare sia la nascita sia il battesimo: si trattava di una novità, in quanto in precedenza – ed anche successivamente al 1865, una volta costituito il Regno d’Italia - gli atti di battesimo, distinti da quelli di nascita, assumevano valore esclusivamente sotto il profilo canonico.

In ragione di ciò, gli atti di battesimo del periodo in esame sono redatti in lingua italiana e non in latino, lingua ufficiale della Chiesa, come avveniva prima del ’38 e dopo il ‘65; un’altra loro caratteristica è costituita dal fatto che essi dovevano recare la sottoscrizione non solo dal Parroco ma anche dal richiedente, che coincideva di fatto con il padre del bambino, quando capace di scrivere; altra peculiarità: le già citate Regie Patenti prevedevano la specificazione delle professioni dei padri, delle madri, dei padrini e delle madrine (indicazioni non presenti negli atti di Battesimo redatti prima e dopo il periodo in esame).

Dall’analisi degli atti di Battesimo del 1838-65 è pertanto possibile trarre preziose indicazioni a proposito delle condizioni di vita, delle occupazioni e dell’alfabetizzazione media degli abitanti dell’epoca di Pedemonte.

 

 

 

Le professioni dei padri

 

Analizzando le professioni dei padri dei bambini di Pedemonte battezzati nel periodo in oggetto, il dato più evidente è costituito dalla netta preponderanza dell’attività di contadino rispetto ad ogni altra.

Se si considerano tutti i padri che compaiono almeno una volta nei registri degli anni 1838-1865 (che ammontano a poco più di 200: molti di essi compaiono in diversi atti di nascita in quanto padri di due o più figli ed ovviamente sono stati considerati una volta sola), coloro che sono stati qualificati semplicemente come “contadino” sono pari ad una percentuale di circa il 73%; la percentuale sale addirittura a circa il 77% se si considerano anche le persone definite, anziché come “contadino” senza ulteriori specificazioni, “contadino proprietario” o “agricoltore proprietario” o “contadino possidente” (su queste categorie si avrà modo di tornare fra breve) o “contadino giornaliere” o “contadino” associato ad un’altra professione (ad esempio, “contadino falegname”, come si legge a proposito di tale Giacomo Noli).

Insomma, quasi quattro padri di bambini battezzati su cinque esercitavano un’attività consistente nella coltivazione della terra o comunque ad essa strettamente connessa.

A parte quella di contadino, la professione che compare più spesso è quella del vetturale (anzi “veturale” come si legge quasi sempre negli atti di nascita), svolta da una ventina di padri per una percentuale di circa il 10% sul totale dei padri che appaiono almeno una volta nei registri.

Leggermente diversa dal “veturale” è la figura del “carrettiere” spesso scritto come “carrattiere”. Tale attività compare nei registri otto volte tra i padri suddivisi per famiglie, per una percentuale pari a circa il 4%.

Peraltro, ben cinque degli otto padri carrettieri sono stati qualificati, in anni diversi in occasione della nascita di altri figli, come vetturali, ed uno è stato definito –e ciò per ben tre volte, in occasione di altrettanti battesimi- contemporaneamente “vetturale carrettiere”: ciò porta a ritenere una certa somiglianza, se non addirittura commistione, delle due attività, per lo meno nella percezione dei compilatori degli atti.

In qualche modo simile doveva essere anche la figura del mulattiere, spesso scritto come “mulatiere”: ben otto degli undici padri qualificati come mulattieri (in tutto le persone che compaiono come “mulattiere” una percentuale del 5% circa sul totale dei padri di famiglia) risultano, con riferimento alla nascita di altri figli, essere stati anche vetturali.

Al di là delle specificità e delle difficoltà di distinzione delle tre attività di “trasporto”, resta il fatto che ad esse vi si dedicavano ben 26 padri diversi, per una percentuale pari a circa il 12%: si tratta quindi di un numero decisamente non trascurabile.

In tale settore si sono particolarmente distinti i tre fratelli Dellepiane, tutti discendenti da Lorenzo e tutti dediti all’attività chi di vetturale, chi di carrettiere, chi di mulattiere (o due di queste insieme, come si evince dal confronto di vari atti di battesimo relativi allo stesso soggetto padre: ciò che costituisce un’ulteriore conferma della sovrapponibilità, almeno nella pratica, degli specifici ruoli). Essi –si può supporre- potrebbero avere messo su una specie di impresa familiare di trasporti, magari ereditata dal padre Lorenzo.

Un’altra importante categoria è costituita da quelle professioni che oggi chiameremmo “artigianali”; tra di esse spicca quella del calzolaio, attività esercitata da addirittura otto padri diversi (per una percentuale di circa il 4%).

Anche in questo caso si distingue nettamente una famiglia: ben quattro dei padri calzolai si chiamavano infatti Tagliavacche ed erano parenti stretti tra di loro; si tratta infatti di tre fratelli –diventati padri tra il 1854 e il 1864 - figli di Giovanni, e dello stesso Giovanni, che figura come padre nel 1838 e che risulta ancora vivo almeno fino al 1864; è possibile che la famiglia Tagliavacche fosse proprietaria o titolare di un laboratorio artigianale.

Tra le altre figure artigianali, è ben rappresentata quella del falegname: vi si dedicavano ben cinque padri diversi; tra costoro, due portavano lo stesso cognome Noli ed erano probabilmente padre e figlio: si tratta di Giacomo Noli, padre fra il 1838 e il 1840 (qualificato in un atto con il termine “bancalaro”) e di Settimio Noli di Giacomo, padre di tre figli fra il 1856 ed il 1859.

Vi è poi la figura del fabbro ferraio, attività svolta da tre padri diversi: uno di essi, tale Luigi Pedemonte, è qualificato anche come “benestante fabbro ferraio” ed in un altro “fabbro ferraio possidente” mentre gli altri due si chiamavano entrambi Roncallo ed appartenevano con tutta probabilità alla stessa famiglia.

Si contano inoltre tre padri muratori, due dei quali definiti “maestro muratore”; anche in questo caso vi è un probabile caso di “dinastia” familiare, in quanto compaiono come muratori sia Agostino Ronco negli anni 1838 e 1840 sia Paolo Ronco di Agostino in diversi anni tra il 1857 ed il 1865: tutto lascia pensare che si tratti di padre e figlio.

La carrellata delle figure artigianali si conclude con la menzione di un isolato “vermicellaio”, che potrebbe essere qualificato come artigiano della pasta, che compare una sola volta.

Alcuni padri dei bambini battezzati esercitavano poi un’attività riconducibile a quella che oggi chiameremmo di negoziante: troviamo qua e là tra i vari registri un merciaio (in un caso qualificato come “merciaio” tout court ed in un altro come “merciaio ambulante”: ma si tratta della stessa persona), un “fruttarolo” (odierno fruttivendolo), un “macellaio” (tale Domenico Lagorio, che in un caso svolge anche l’attività di locandiere ed in un altro caso anche l’attività di oste: si tratta di un personaggio molto particolare, sul quale vale la pena di tornare fra breve), un “vitellaio”, un “commerciante bestie bovine”, un “commerciante carrattiere”, un non meglio specificato “bottegaio” poi trasformatosi in “bottegaio ed oste” (si tratta di Giuseppe Travi: anche sulla sua vicenda si avrà modo di tornare).

Si ha inoltre notizia di un isolato fornaio (che però in occasione del battesimo di un altro figlio è stato definito “fornaio commerciante”: forse aveva una bottega dove produceva e vendeva contemporaneamente il pane e gli altri prodotti da forno?) e di ben tre mugnai (in un caso è stato definito “molinaro” in occasione del battesimo di un altro figlio, mentre un altro mugnaio risultava contemporaneamente anche come vetturale).

Si ritiene poi opportuna qualche osservazione sulle molteplicità di attività riconducibili ad una stessa persona.

In alcuni casi, infatti, il padre del battezzato risultava svolgere due attività che a prima vista appaiono del tutto diverse: lasciando da parte i casi in cui ad una attività era associata la qualificazione di contadino (probabilmente, tutti o quasi tutti possedevano e coltivavano qualche pezzo di terra, anche chi svolgeva un’attività come quelle testé esaminate), destano più di una perplessità accoppiamenti come vetturale-mugnaio, oste-carrattiere, commerciante-carrettiere, vetturale-commerciante, macellaio-oste e macellaio-locandiere. Doppio lavoro ante litteram?

In tale contesto, come si può vedere, si sono particolarmente distinti gli unici due padri che hanno esercitato –tra le altre cose, è proprio il caso di dire- l’attività di oste, vale a dire i già citati Domenico Lagorio e Giuseppe Travi. Su di loro appare opportuna una breve digressione, vista la singolarità dei personaggi in questione.

Domenico Lagorio compare nei registri del periodo in esame per ben sei volte, come padre di altrettanti figli: dapprima, nel 1848, come “locandiere macellaio”, poi per ben tre volte, nel 1851-53-56, semplicemente come “macellaio”, poi nel 1858 come “macellaio ed oste” ed infine nel 1861 (per inciso, si osserva che il figlio Lorenzo è nato proprio il 17 marzo 1861, giorno della proclamazione del Regno d’Italia) solo come “oste”.

Il personaggio in questione, insomma, doveva essere molto attivo. Chissà come avrà fatto a gestire contemporaneamente una macelleria ed una locanda… forse accanto al locale adibito ad osteria avrà avuto uno spaccio ove vendeva la carne.

Anche l’altro oste Giuseppe Travi doveva essere una persona molto intraprendente e versatile; appare per ben sei volte nei registri parrocchiali del periodo in esame e nei vari anni a lui si riferiscono ben cinque professionalità diverse: vetturale, commerciante, bottegaio, oste e carrettiere. Più nel dettaglio, nel 1851 viene qualificato come “veturale commerciante”, nel 1854 come “bottegaio”, nel 1855 come “oste e bottegaio”, nel 1856 come “bottegaio”, nel 1860 come “bottegaio ed oste”, nel 1863 “oste, carrattiere” (per inciso si osserva che ha avuto un altro figlio nel 1866, ma, come si è detto all’inizio, i registri parrocchiali di tale anno non riportano più le professionalità).

Come avrà fatto a conciliare tutte queste diverse attività? Forse –anche in questo caso ci potrebbe essere una risposta plausibile - il Travi ha ricevuto un grosso aiuto dalla moglie Cristina Cambiaso (sulla quale si avrà occasione di tornare), che in un caso viene qualificata come “ostessa” ed in un altro “bottegaia”.

Questa carrellata di mestieri si conclude con l’analisi di una “attività” …decisamente particolare.

In qualche caso si legge nel campo relativo alla professione del padre la parola “benestante” o “possidente” o “proprietario”, usati sia come sostantivo sia come aggettivo, spesso accanto ad altre attività (così si legge, ad esempio, “fabbro ferraio benestante”, “benestante falegname”, persino “benestante contadino”): in tutto, i padri ai quali viene associata una delle tre parole sopra citate sono undici, per una percentuale di circa il 5% sul totale dei padri suddivisi per famiglia.

Si trattava presumibilmente di medi o grandi proprietari terrieri, o di uomini di censo elevato, comunque più ricchi rispetto alla media degli abitanti di Pedemonte.

Non tutti costoro, quindi, vivevano esclusivamente di rendita, pur magari potendoselo permettere: alcuni di loro si dedicavano, come probabilmente facevano i contadini qualificati “proprietari”, alla coltivazione di almeno parte degli appezzamenti di loro proprietà.

Potrebbe essere questo proprio il caso di Matteo Ronco, la cui vicenda è quanto mai indicativa. Egli negli anni 1850-52-56 viene definito “contadino proprietario”, nel 1859 “possidente contadino”, nel 1862 come “agricoltore proprietario”, e finalmente – dopo la morte del padre, come risulta dal patronimico, e dopo avere presumibilmente ereditato qualcosa - nel 1865, come “possidente” e basta: insomma, un bell’esempio di “carriera”!

Un altro bell’esempio di “carriera” in questo senso è costituito di Angelo Pedemonte. Egli nel 1838 ha iniziato come semplice “contadino”, poi nel 1840 è stato promosso “possidente contadino” fino a raggiungere nel 1843 la posizione di “benestante”, poi confermata negli anni 1845 e 1847.

Almeno un po’ questi personaggi hanno lavorato, prima di diventare benestanti o possidenti “tout court”!

In generale, dall’analisi delle professioni dei padri dei bambini di Pedemonte battezzati negli anni 1838-1865 emerge così una realtà prettamente “rurale”, nella quale gran parte degli abitanti del paese si dedicavano alla coltivazione delle campagne e degli orti interni o vicini al paese.

 

 

 

L’alfabetizzazione dei padri in rapporto con la professione

 

Come si è detto in precedenza, le Regie Patenti prevedevano la sottoscrizione dell’atto di nascita e di battesimo da parte del richiedente, ovvero di fatto il padre del bambino (in un caso, peraltro, il padre risultava defunto e quindi l’atto è stato firmato dal nonno), naturalmente quando capace di leggere e scrivere; l’analisi dei registri recanti gli atti di nascita del periodo 1838-65 consentono dunque di compiere un’indagine a proposito dell’alfabetizzazione media degli abitanti di Pedemonte del periodo, anche in rapporto alle professioni da essi svolte.

Ebbene, il dato che balza subito agli occhi è costituito dal fatto che hanno sottoscritto l’atto di nascita e Battesimo dei propri figli solamente il 23% circa dei padri: insomma, la netta maggioranza degli uomini di Pedemonte non era in grado di leggere e di scrivere.

L’esame degli atti di nascita rivela un altro dato molto interessante: solo la metà circa delle non molte persone che sapevano scrivere erano contadini (comprendendo anche quelli che sono stati classificati “contadino possidente” e “proprietario contadino” o simili), nonostante questa categoria rappresentasse, come si è visto in precedenza, circa il 73-78 % del totale dei padri dei bambini.

In effetti, la percentuale di istruiti fra i contadini si attesta sul 15% circa (che scende al 12% se si considerano i contadini senza altre specificazioni, escludendo quindi le testé citate figure del “contadino possidente” o del “proprietario contadino” e coloro che risultavano esercitare anche un’altra attività, come il carrettiere-vetturale): se ne trae che la stragrande maggioranza dei contadini era analfabeta e che era senz’altro più facile trovare persone istruite, in proporzione, tra coloro che svolgevano altre attività.

Tra questi ultimi, i più istruiti risultano appartenere alle categorie dei “benestanti-possidenti-proprietari” (8 padri su 11, per una percentuale del 72,72%), e degli artigiani (12 su 14, per una percentuale di circa l’85%)

Quanto ai primi, si può ritenere che le maggiori risorse economiche di cui disponevano, magari ereditate dalla famiglia di origine, potessero avere permesso loro di portare avanti gli studi e di acculturarsi.

Qualche stupore in più potrebbe destare l’alta percentuale di persone istruite fra gli artigiani, comprendendo tra di essi il calzolaio, il fabbro ferraio e il falegname: si potrebbe infatti pensare che in queste attività sia utile soprattutto la manualità, più che un buon livello di cultura.

Evidentemente, la formazione ricevuta per intraprendere l’attività di artigiano prevedeva la conoscenza delle almeno più elementari nozioni di lingua e di aritmetica, che potevano essere utili nel disbrigo delle formalità connesse alla professione: si pensi al rilascio di una qualche forma di ricevuta per i clienti o alla tenuta della contabilità (anche se gli adempimenti amministrativi-fiscali dovevano essere sicuramente più semplici rispetto ad oggi).

Superiore alla media è anche la percentuale delle persone istruite tra i commercianti (circa un terzo): anche in questo caso, come per gli artigiani, poteva essere utile sapere scrivere ed anche fare almeno “due conti”.

Di nuovo bassa è la percentuale di istruiti tra i padri che esercitavano l’attività di trasporto (vetturali, mulattieri, carrettieri): 5 su 26, ovvero quasi il 20%. Si trattava evidentemente di attività che potevano essere esercitate anche da persone poco, o per meglio dire per nulla, istruite.

Al di là dell’analisi dell’alfabetizzazione delle singole categorie, si ribadisce comunque quello che resta il fatto più evidente e più interessante che traspare dall’analisi degli atti di battesimo del periodo in oggetto: la netta maggioranza degli uomini di Pedemonte dell’epoca non sapeva né leggere né scrivere.

 

 

 

 

Le professioni delle madri

 

Negli atti di nascita e Battesimo esaminati l’indicazione della professione della madre del bambino –espressamente prevista dalle Regie Patenti 20 giugno 1837, come si è già osservato in precedenza- compare in assoluto 127 volte su 728, per una percentuale di circa il 17%.

Già questo dato è estremamente indicativo; si ritiene comunque opportuno esaminare, almeno per sommi capi, le indicazioni a proposito delle professioni delle madri che si ricavano dagli atti di nascita e battesimo, naturalmente quando sussistenti.

Come nel caso dei padri, anche qui la professione di gran lunga più citata è quella di “contadina”: ben 93 volte su 127 (per una percentuale di circa il 73%), comprendendo anche il caso di una “giornaliera contadina”.

Tra le madri, la seconda “professione”, se così si può dire, più diffusa è quella relativa agli “affari di casa” o simili: tale indicazione compare in tutto 16 volte (per una percentuale di circa il 12% sul totale delle donne risultanti con una qualche occupazione).

Qui è peraltro d’obbligo una precisazione. In questi casi, infatti, si ritiene che l’inserimento del dato sia stato più che altro uno scrupolo del redattore, quasi si sentisse obbligato a non lasciare vuoto lo spazio posto alla voce “professione”: è assolutamente evidente infatti che si dedicavano ai lavori domestici o alle cure dei figli anche quelle moltissime madri rispetto alle quali non era stata posta alcuna indicazione riguardo alla professione esercitata.

Si spiegherebbe così, ad esempio, la punta di madri dedite agli “affari di casa” registrata nel 1858: escludendo che quell’anno così tante madri si siano dedicate improvvisamente alle faccende domestiche, con tutta evidenza chi quell’anno era deputato a compilare almeno parte degli atti di nascita e di battesimo ha ritenuto doveroso scrivere comunque qualcosa a proposito della professione della madre.

Alla fine, quindi, solamente in 18 casi, è stata indicata un’attività della madre non riconducibile al lavoro contadino o strettissimamente domestico. Così si legge quattro volte “maestra cucitrice” e “tessitrice”, due volte “sarta” e “cucitrice”, una volta “bottegaia”, una volta “lattiera”, una volta “merciaia ambulante”, una volta “molinara”, una volta “mugnaia”, una volta “ostessa”.

Tali indicazioni, peraltro, vanno prese con molta cautela e devono essere valutate nel loro complesso: talvolta si tratta infatti della stessa persona (come è il caso della sarta, che è sempre Celeste Pedemonte; le maestre cucitrici, ad esempio sono solo due, Antonia Ronco e Angela Comotto; la bottegaia e l’ostessa, come si vedrà fra breve, si identificano con la stessa persona).

Molto spesso, poi, le madri di più figli risultano svolgere attività diverse in occasione della nascita dei loro diversi figli: emblematico in tal senso è il caso di Celeste Pedemonte, sei volte madre di bambini battezzati nel periodo preso in esame: ebbene, ella appare nei diversi atti ora come contadina (due volte), ora come sarta (due volte), ora come dedita agli “affari di casa” (una volta); in un altro caso ancora, nessuna attività è indicata accanto al suo nome.

Parimenti curiosa è anche la storia di Cattarina Lagorio, madre di ben 10 figli nel periodo in esame: per otto volte non appare nessuna indicazione relativa alla sua professionalità, una volta figura come contadina ed un’altra come cucitrice.

C’è poi il caso della già citata Cristina Cambiaso, moglie del carrettiere-bottegaio-oste Giuseppe Travi; ella risulta per ben cinque volte non svolgere alcuna attività; una volta è qualificata come “ostessa” ed una volta come “bottegaia”.

Il riferimento all’attività di bottegaia ed ostessa da parte di Cristina Cambiaso dà lo spunto per svolgere qualche breve considerazione anche a proposito del legame tra la professione della madre e quella del padre del bambino, che in alcuni casi appare palese.

Oltre al caso di Cristina Cambiaso, estremamente paradigmatico è quello di Caterina Roncallo: ella è qualificata come “mugnaia” nello stesso atto in cui suo marito Gio Batta Bribò è qualificato come “veturale mugnaio”.

In almeno altri due altri casi appare evidentissimo il collegamento tra la professione della moglie e quella del marito: si tratta di Pellegrina Bribò, molinara, moglie di Angelo Bottaro, molinaro contadino; di Maria Corte, merciaia ambulante, moglie di Gio Batta Ricchino, merciaio ambulante.

Lo stretto legame tra professione della madre e del marito, tuttavia, non risulta soltanto rispetto alle attività più “qualificate”, come quelle testé esaminate, ma si appalesa evidente proprio rispetto a quella di gran lunga più comune: si pensi infatti che tutte le 71 madri indicate come contadine (ovviamente alcune di esse hanno avuto più figli e compaiono più volte negli atti) sono sposate con contadini, esclusi solamente due casi (si tratta di Giovanna Pedemonte, contadina, moglie di Giuseppe Dellepiane, vetturale e di Angela Lavagetto, contadina, moglie di Giovanni Travi, mulattiere).

Dall’analisi dei dati relativi alle professioni delle madri si evince che la stragrande maggioranza delle madri dell’epoca non svolgeva alcuna attività lavorativa, dedicandosi ai lavori di casa o, al massimo, ai lavori della campagna; quelle pochissime che svolgevano un’attività più strettamente lavorativa, seguivano in realtà le orme dei loro mariti.

Tenuto conto che con ogni probabilità le sarte e le cucitrici, sulle quali non ci si è soffermati, svolgevano presumibilmente in casa la loro attività, si può ritenere con fondamento che negli anni 1838-65 per le donne di Pedemonte non vi era praticamente alcuno spazio per attività lavorative fuori casa autonome e distinte rispetto a quelle dei loro mariti.

 

 

 

Le professioni e le provenienze dei padrini e delle madrine

 

Tra i soggetti coinvolti negli atti di nascita e di battesimo vi sono anche i padrini e le madrine: anche per loro il Regolamento di Re Carlo Alberto citato nelle premesse prevedeva la menzione delle rispettive professioni.

Negli atti esaminati, analogamente a quanto si è visto per i genitori, compare pressoché sempre l’indicazione della professione del padrino, mentre molto spesso manca quella relativa alla madrina.

Partendo nell’analisi dai dati relativi ai padrini, già dalla visione dei registri dei primi tre anni esaminati, vale a dire il 1838-39-40, salta subito agli occhi la presenza di un dottore in medicina, di un dottore in legge e di un “causidico” (che potrebbe essere assimilato all’odierno avvocato), tutti di Genova: si percepisce subito la sensazione di un livello culturale e di una posizione sociale dei padrini mediamente superiore rispetto a quella dei padri.

Oltre a quelle citate, sono davvero molte le professioni dei padrini che non figurano tra quelle dei padri; tra di esse, si trovano quella del droghiere, dell’impiegato alla Regia Università, del confettiere, del mercante/vetturale, del negoziante in ferramenta, del cameriere, dello scritturale, del filarmonico, del benestante bombacciaro (lavorante del cotone), del misuratore, del panettiere, del fondachiere macellaio, del macchinista, del filattiere, del pizzicagnolo, del fonditore in ferro, del commerciante di legname, dell’ottonaio, del mediatore, del maestro di fabbrica di sapone, del cordaro.

Molti di coloro che svolgevano questi mestieri, per così dire “nuovi” rispetto a quelli degli abitanti di Pedemonte, provenivano da Genova (così, ovviamente, l’impiegato alla Regia Università, ma anche il confettiere o il filarmonico o il benestante bombacciaro) o da quelle località, una volta autonome e ben definite, che oggi sono confluite nella “grande Genova” (ad esempio, il cameriere proveniva da S. Teodoro, il pizzicagnolo da Rivarolo, il fonditore in ferro da Sampierdarena).

Come si può vedere, alcune di queste professioni appaiono consone a persone di un livello sociale-culturale medio più elevato rispetto ai padri dei bambini battezzati di Pedemonte; a conferma di ciò, si osserva che tra i padrini si trovano in proporzione molti più “benestanti” e “possidenti” rispetto ai padri.

Ciò naturalmente non significa che i padrini fossero tutti ricchi, istruiti e provenienti dalla città; esattamente come i padri, la grande maggioranza di loro svolgeva comunque il mestiere di gran lunga più diffuso, vale a dire il contadino, e proveniva dallo stesso paese di Pedemonte o tutt’al più dai vicini borghi Serra, Valleregia, Orero, San Cipriano o Mignanego. Così, i padrini in buon numero esercitavano anche altri mestieri piuttosto diffusi tra i padri dei bambini battezzati di Pedemonte, come il vetturale ed il calzolaio.

Per concludere questa breve disamina sui padrini, si ritiene opportuno menzionare Domenico Pedemonte, padrino di Domenico Filippo Pedemonte, nato l’11 agosto 1841 e battezzato il giorno seguente, il quale risulta domiciliato addirittura a Torino e qualificato come domestico.

Egli potrebbe aver lavorato presso una famiglia dell’allora capitale del Regno di Sardegna. In ogni caso si tratta senza ombra di dubbio, tra quelli esaminati, del padrino che proviene da più lontano (anche se il cognome Pedemonte tradisce chiaramente le sue origini locali).

Si passa ora ad una breve analisi anche delle professioni delle madrine, limitandola ovviamente ai casi in cui è contenuta qualche indicazione al riguardo.

Anche in questo caso compaiono alcune professionalità che non si trovano tra le madri dei bambini battezzati; tra queste, si distingue, per la sua frequenza e per la sua importanza, l’attività di “domestica” o di “servente”, sulla quale vale la pena effettuare qualche considerazione.

Le donne che svolgevano questa attività si mettevano al servizio di una famiglia – presumibilmente benestante - della città, come conferma la pressoché comune domiciliazione in Genova; è stata peraltro trovata anche una madrina “servente” domiciliata in Borzoli.

Molte altre sono le professioni che risultano svolte dalle madrine ma non dalle madri: si trova così la figura della droghiera, della panettiera, della “conciacapelli” (odierna parrucchiera), della “rivenditrice di generi”, della “lavandara”, della levatrice, della “lattara”, della locandiera, della filatrice di seta, della “fruttarola”, della fornaia, della trecca (venditrice ambulante di frutta e verdura), della maestra, della macellaia, della ricamatrice.

Di tanto in tanto negli atti di nascita e battesimo, inoltre, si trova tra le madrine quella particolarissima attività di “benestante” o di “proprietaria”, che invece non compare mai con riferimento alle madri.

Si rafforza dunque l’impressione, analogamente a quanto si è visto per i padrini, di un livello sociale-culturale-economico più alto delle madrine rispetto alle madri.

Tutto ciò, peraltro, tenendo sempre presente che la netta maggioranza delle madrine o non risultava svolgere alcuna attività, o era contadina o era dedita agli “affari di casa”.

Infine, un’ultima considerazione sulle provenienze delle madrine: esse risultano per la maggior parte domiciliate, oltre ovviamente a Pedemonte, nei vicini paesi di San Cipriano, Orero, Valleregia; si trovano peraltro anche madrine domiciliate a Serra, Pontedecimo, Cesino, Fumeri, Montanesi, San Biagio, San Quirico, Cremeno, Murta, Sant’Olcese, Casella, fino a Sampierdarena.

Provenivano invece dalla città di Genova non solo la maggior parte delle domestiche, come si è già accennato in precedenza, ma anche delle “benestanti”: ciò fa ritenere un più alto tenore di vita medio degli abitanti della città rispetto a quello degli abitanti dei paesi di campagna quale era sicuramente ai tempi Pedemonte.

 

 

 

Brevi cenni sulle famiglie numerose

 

Come si è già avuto modo di accennare in precedenza, molto spesso i padri e le madri comparivano negli atti di nascita e Battesimo più volte, in quanto genitori di più figli; in effetti, la nascita di un bambino nella famiglia doveva essere al tempo un evento piuttosto frequente: per dare un’idea, si pensi che ognuno dei poco più di duecento padri che compaiono almeno una volta nei registri degli anni 1838-65 risultava essere genitore in media di circa tre figli e mezzo.

A tale proposito, peraltro, non si può trascurare l’incidenza della mortalità infantile, purtroppo allora molto diffusa, come si evince chiaramente dagli stessi atti di nascita e battesimo esaminati: in quasi tutti gli anni del periodo, infatti, è dato leggere almeno una volta che il battesimo era stato amministrato con modalità private, di solito dalla levatrice o ostetrica, per imminente pericolo di vita del bambino (si consideri che mediamente venivano celebrati circa trenta battesimi all’anno). Anche se dagli atti esaminati non è possibile capire se in questi casi sia poi effettivamente seguita la morte del bambino battezzato, si può ritenere pressoché certo il triste evento.

Si diceva prima delle nascite in famiglia di tanti figli: fino a quanti esattamente? Ebbene, “primatisti” in questo senso si sono rivelate due coppie di coniugi, che sono risultati genitori di ben undici figli.

Si tratta in particolare di:

Lorenzo Cereseto e Vincenza Noli, entrambi contadini (per la verità lei solo una volta viene qualificata come contadina, mentre tutte le altre volte non è scritto nulla relativamente alla sua professione), diventati genitori tra il 1842 e il 1862, con sette maschi e quattro femmine;

Giuseppe Dellepiane e Cattarina Pedemonte, lui contadino e lei sempre senza professione, diventati genitori tra il 1839 e il 1855, con quattro maschi e sette femmine.

Ha inoltre avuto undici figli Angelo Frixione (o Frigione, come si legge in altri atti), contadino, dieci con Cattarina Lagorio qualificata una volta contadina ed un’altra cucitrice, tra il 1840 e il 1854, e una con la seconda moglie Anna Roncallo, contadina, nel 1857, per un totale di cinque maschi e sei femmine.

Si ritiene che meritino una speciale menzione anche le seguenti coppie di genitori che si sono fermati “solamente” a 10 figli;

Antonio Meirana-Rosa Marchese: lui contadino capace di scrivere, lei senza professione, genitori tra il 1842 e il 1862 con sei maschi e quattro femmine;

Michele Oliva-Rosa Pedemonte: lui contadino, lei senza professione, genitori tra il 1838 e il 1855, con quattro maschi e sei femmine, di cui un parto gemellare;

Angelo Pedemonte-Colomba Bottaro, entrambi contadini (così lei risulta due volte) e lui capace di scrivere, genitori tra il 1851 e il 1864, con sei maschi e quattro femmine;

Luigi Pedemonte-Francisca Risso, lui contadino, lei senza professione, genitori tra il 1839 e il 1861, con quattro maschi e sei femmine;

Agostino Roncallo-Maria Flora Noli, lui vetturale-mulattiere, lei senza professione, genitori tra il 1845 e il 1865, con tre maschi e sette femmine;

Gio Batta Torre-Anna Pedemonte, entrambi contadini (così lei risulta tre volte), genitori tra il 1851 e il 1865, con tre maschi e sette femmine: in quest’ultimo caso, ed in relazione purtroppo a ben tre figli, vi è traccia di battesimi amministrati da privati (in un caso, dalla nonna: si tratta di un fatto assai particolare) per imminente pericolo di vita.

A conferma della non eccezionalità di un alto numero di nascite nelle famiglie, dagli atti esaminati risultano anche due coppie di genitori con nove nascite, sei coppie con otto nascite, otto coppie con sette nascite.

D’altra parte, non mancano neppure coppie di genitori che risultano una volta sola, o due al massimo; peraltro, essi potrebbero benissimo avere avuto altri figli, che sono stati battezzati o in altri paesi o a Pedemonte ma in anni diversi da quelli presi in esame.

Al di là comunque della varietà delle singole situazioni, dagli atti di nascite e battesimo esaminati si evince che molte famiglie di Pedemonte dell’epoca dovevano essere decisamente numerose, e che in media il numero di figli per famiglia era molto alto.

 

 

Conclusioni

 

Come si è visto, i dati contenuti negli atti di nascita e di Battesimo, in apparenza piuttosto freddi ed aridi, hanno alzato un velo sulla vi

ta e sulla società di Pedemonte degli anni centrali dell’Ottocento; in particolare, le informazioni relative alle professioni (espressamente, e per i nostri fini fortunatamente, previste dal Regolamento di Carlo Alberto citato nelle premesse) hanno consentito di trarre preziose indicazioni a proposito delle attività maggiormente diffuse tra la popolazione, del tenore di vita, dell’alfabetizzazione media, delle differenze tra uomini e donne nell’attività lavorativa, del numero medio di figli per famiglia, delle condizioni di vita in genere degli abitanti di Pedemonte.

Si ha così l’impressione di una realtà ancora decisamente preindustriale, nella quale la maggior parte degli uomini lavora nei campi e la maggior parte delle donne è dedita agli “affari di casa” ed in particolare alla cura dei numerosi figli per famiglia; il paese appare molto distante anche geograficamente dalla pure non lontanissima città, ed i suoi abitanti appaiono in gran parte persone non istruite e con scarse, per non dire scarsissime, risorse economiche.

 

 

 

 

Fotografia tratta da: http://www.pietracasuale.it/index.php/categorie/mostre/158-la-memoria-del-lavoro

 

 

 

 

Tracce di Pedemonte

 

 

 

 

 

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