Scritti Casuali
RICICLO DEVOTO
Uno sguardo sul passato di San Giacomo di Molassana a Genova
Salendo da Genova Molassana per via Geirato e via Riomaggiore, attraverso una strada stretta e piena di curve, si arriva alla suggestiva frazione di San Giacomo: il visitatore che arriva per la prima volta in questo luogo ed ignaro della sua storia è sicuramente colpito, oltre che dalla amenità e dalla tranquillità del luogo nonostante l’estrema vicinanza con la trafficata e rumorosa Val Bisagno, dalla presenza di un’imponente statua dedicata a Giovanni XXIII nell’ampio e panoramico piazzale antistante la chiesa dedicata a San Giacomo, da cui prende appunto il nome tutto il borgo.
In realtà le vicende che hanno portato alla realizzazione e al trasporto della statua non sono certamente misteriose, in quanto oggetto di varie ricerche, molte delle quali facilmente consultabili anche in rete; tali vicende, che con tutta probabilità sono note ad almeno alcuni fra gli abitanti più anziani del luogo e fra coloro che vi risiedono da più anni, devono avere avuto a suo tempo vasta eco anche a livello cittadino, come attesta in particolare un interessantissimo articolo apparso sull’edizione de “Il Secolo XIX” del 3 giugno 1967, che ne tratta diffusamente e con ampio risalto nella parte relativa alla cronaca della città.
L’idea si deve alla fantasia e all’inventiva del compianto Don Giacomo Cambiaso (1918-2011), nativo di Serra Riccò, ordinato sacerdote nel 1942 e giunto, dopo un incarico come curato nella Parrocchia di San Martino di Paravanico (dove aveva vissuto gli ultimi difficili anni della guerra), a San Giacomo nel 1950 per rimanervi in pianta stabile fino al 1970; egli ha tuttavia mantenuto un forte legame affettivo con questa località anche negli anni successivi, nonostante il gravoso impegno di una missione in Tanzania.
Prima di descrivere la storia della statua, sia pure per sommi capi trattandosi come detto di una vicenda non completamente sconosciuta, si ritiene opportuno richiamare l’attenzione su una peculiare caratteristica di questo sacerdote.
Come illustra molto bene il citato articolo de “Il Secolo XIX”, Don Cambiaso era sempre alla ricerca di materiali e di oggetti idonei a trasformare, arricchire ed ingrandire l’ex oratorio di San Giacomo, dal 1960 elevato a dignità di parrocchia, come si legge in una targa collocata sul piazzale1.
Quando “il segugio delle macerie” (così Don Giacomo Cambiaso è stato felicemente definito dall’articolista) veniva a conoscenza di sgomberi di chiese, di ville o di appartamenti di pregio andava personalmente a cercare ogni cosa possibile, anche danneggiata o in cattivo stato di conservazione, che poteva essere riciclabile ed utilizzabile per migliorare la chiesa o i locali adiacenti. Così oggetti d’ogni genere, quali ad esempio “colonnine di mercurio, colonnine d’ogni specie, acquasantiere, vecchi cancelli di ferro battuto” (questo elenco è contenuto nell’articolo de “Il Secolo XIX” di cui sopra), venivano ammucchiati nel retro della canonica in attesa di avere una nuova vita.
Il suo ricco laboratorio era stato spesso visitato persino dal Cardinale Siri, come racconta lo stesso Don Cambiaso con una punta di malcelato orgoglio in un video girato nel 1992 in occasione del 50° anniversario di ordinazione (il video si può vedere su YouTube ed è intitolato “Pillole di saggezza di Don Giacomo Cambiaso”).
Su questa particolare e per certi versi geniale capacità di reimpiegare utilmente materiale ed oggetti dismessi o destinati alla demolizione (il giornalista de “Il Secolo XIX” parla espressamente di “straordinario istinto”) si avrà modo di tornare illustrando alcuni dei lavori eseguiti o fatti eseguire da Don Cambiaso relativi alla chiesa, alla canonica e al piazzale.
Inquadrato così il personaggio principale di tutta la vicenda, per descrivere sia pure brevemente la storia della statua ora dedicata a Giovanni XXIII conviene trascurare per un momento nella narrazione Don Cambiaso e tornare ancora un po’ più indietro nel tempo.
Negli ultimi anni del fascismo due scultori di Pietrasanta, Ravazzi e Costa, avevano realizzato la statua dedicata all’Ammiraglio Costanzo Ciano (padre del più noto Galeazzo), per omaggiare l’eroe protagonista, insieme a D’Annunzio, della beffa di Buccari, morto nel 1939; la statua era stata poi collocata al centro della Rotonda di Piazzale San Francesco d’Assisi, in fondo all’attuale via Corsica, con vista sul mare, ed era stata inaugurata il 20 novembre 1941 alla presenza delle maggiori autorità fasciste2.
Breve era stata però la sua vita: già il 25 luglio 1943 la folla, desiderosa di cancellare immediatamente ogni traccia del regime fascista appena caduto, aveva distrutto la statua, che per ulteriore spregio era stata decapitata ed annerita di catrame (come si apprende dal già più volte citato articolo de “Il Secolo XIX” del 3 giugno 1967).
I suoi resti erano finiti chissà come presso il magazzino della Cooperativa COSP1 - Cooperativa tra gli operatori dei servizi portuali – ed erano stati notati nel 1965 dall’allora cappellano del porto, il quale – come si espone a pagina 10 del quotidiano “L’Unità” del 13 agosto 1996 in un articolo scritto da Marco Ferrari – “conosceva a menadito ogni anfratto delle banchine, dei magazzini, dei depositi.” Si sta trattando ovviamente del nostro Don Cambiaso, che in quegli anni ricopriva appunto l’incarico di cappellano del porto.
Era stata infatti proprio la visita a questo magazzino sgomberato nella zona portuale a far scaturire in lui l’idea, espressamente definita “balzana” dall’articolista de “Il Secolo XIX” del 3 giugno 1967, di trasformare un grosso blocco marmoreo semisepolto dai detriti ammucchiati in una statua dedicata a Giovanni XXIII.
Con l’aiuto dell’amico scultore Mario Roncallo1 il sacerdote era riuscito a rintracciare i due artisti di Pietrasanta che circa venticinque anni prima avevano realizzato il busto di Ciano. Come illustra molto bene il più volte citato articolo de “Il Secolo XIX”, Don Cambiaso era riuscito a convincere i due scultori a rinviare il momento del ritiro dalla loro attività, a cui erano già orientati. La statua era stata trasportata a Pietrasanta3 dove i due scultori si mettevano all’opera.
L’articolo de “Il Secolo XIX” del 3 giugno 1967 si rivela molto interessante anche nella parte in cui descrive in modo dettagliato ciò che i due scultori avevano realizzato: i due mesi di lavoro erano stati impiegati “per cancellare dal marmo la giacca dell’Ammiraglio e sostituirla, mediante un buon lavoro di martello e mazzuola, con la mantellina del Papa, e per scolpire ex novo la testa di Giovanni XXIII, col viso atteggiato alla tipica espressione di benevolenza. Una fase particolarmente laboriosa del lavoro fu quella dedicata a modificare la posizione delle braccia: quelle dell’Ammiraglio erano infatti rigidamente conserte, le braccia di Papa Giovanni dovevano invece alzare le mani in una mossa più benevola. Gli scultori riuscirono a superarla modificando sensibilmente soltanto l’avambraccio e lasciandone inalterata l’altra parte”. Questo era stato per i due scultori l’ultimo lavoro, dopo il quale essi chiudevano definitivamente la loro attività.
Il 22 febbraio 1967 iniziava il trionfale viaggio di ritorno della statua tra preghiere, segni di croce, battimani. Essa, in quanto pesante venti quintali (anche in questo caso l’informazione è presa da “Il Secolo XIX” del 3 giugno 1967) era stata trasportata con l’aiuto dei camalli (quest’ultimo particolare è stato invece raccontato da lui stesso nel video “Pillole di saggezza di Don Giacomo Cambiaso”), aveva percorso le vie centrali di Genova (come si legge in questo sito) prima di essere inaugurata domenica 4 giugno 1967 a San Giacomo con una grandiosa cerimonia davanti ad una numerosa folla, con tanto di lancio di fiori da parte dei Vigili del Fuoco (come anticipato il giorno prima da “Il Secolo XIX” nel più volte citato articolo), ed essere benedetta da Monsignor Franco Costa a nome del Cardinale Giuseppe Siri, come attesta una targa perfettamente leggibile ancora oggi.
Da allora la statua - concepita originariamente in tutt’altro periodo, in tutt’altro contesto, per tutt’altro scopo, relativa ad una persona lontanissima per epoca ed ambito di operatività - fa bella mostra di sé nella parte del piazzale che dà verso Molassana e la Val Bisagno.
Come è già stato accennato, le iniziative del vulcanico e intraprendente Don Cambiaso non si sono naturalmente limitate alla trasformazione e al trasporto della statua dedicata al Papa Buono.
Con particolare riferimento al piazzale, si richiama un documento4 della Legione Carabinieri di Genova - Compagnia di Lido di Albaro - dell’11 marzo 1966, dal quale si evince che Don Cambiaso aveva seguito i lavori relativi alla pavimentazione, all’impianto idrico per l’irrigazione delle piante intorno al detto piazzale, alla canalizzazione dell’acqua piovana, all’impianto di illuminazione, tutti effettuati tra il 1° ottobre e il 31 dicembre 1965. Tali interventi, come si afferma esplicitamente nel documento citato, si erano resi necessari perché il piazzale era diventato una vera e propria pozzanghera specialmente nella stagione invernale.
In una piccola porzione del piazzale erano stati inoltre inseriti alcuni frammenti del pavimento della casa natale di Papa Giovanni, che ancora oggi sono perfettamente visibili ed ampiamente evidenziati.
Nel lungo periodo di permanenza a San Giacomo Don Cambiaso si era inoltre occupato di molti altri lavori, riguardanti ancora il piazzale ma non solo: a titolo puramente esemplificativo si richiama un documento4 del 14 novembre 1963 della Legione Carabinieri di Genova – Tenenza di Lido d’Albaro che attesta altri interventi eseguiti tra il marzo e il luglio 1963, consistiti nella sottofondazione ed intercapedine lato ovest della casa canonica, nel rifacimento di circa 15 metri di muro perimetrale del piazzale su cui poggiano le fondamenta della chiesa, nella ricostruzione del colonnato adiacente.
A proposito delle colonne, vale davvero la pena riportare un passo dell’ormai noto articolo de “Il Secolo XIX” del 3 giugno 1967, che con stile brillante ne illustra la provenienza e ad al contempo la caparbietà del nostro sacerdote: “Tempo addietro, ad esempio, Don Cambiaso venne a sapere che da una villa di corso Italia stavano per essere eliminate alcune colonne di cipollino dorato le quali non incontravano più il gusto dei proprietari. Era una di quelle occasioni che mettono l’argento vivo addosso al parroco, il quale tanto fece che riuscì ad ottenere le colonne con i capitelli e le basi in bronzo. Ora le colonne sorreggono la terrazza adiacente la chiesetta, difesa da altre colonne di marmo bianco provenienti questa volta da una villa di Chiavari”.
Lo stesso articolo descrive da dove sono giunti a San Giacomo altri manufatti: “Le porte-finestre ad arco acuto che s’aprono sulla terrazza sono invece il frutto di una ricerca compiuta a Sampierdarena e precisamente in una vecchia villa nella zona della Lanterna, mentre la tettoia di un tram semidistrutto da un incendio è servita parzialmente per ampliare il tetto della canonica”.
Tornando nuovamente al piazzale risulta curiosa anche l’origine dei mattoni con i quali Don Cambiaso lo aveva fatto rivestire, per un’ampiezza di circa trecento metri quadrati: tali mattoni, come si apprende ancora una volta dall’illuminante articolo de “Il Secolo XIX” del 3 giugno 1967, provenivano da due ciminiere demolite nella zona degli antichi macelli. Così si esprime l’articolista: “Passando casualmente un giorno nella zona della demolizione, Don Cambiaso notò infatti quell’enorme cumulo di rosse macerie e istintivamente cominciò a pensare al modo in cui avrebbe potuto utilizzare parte di quel materiale destinato alla discarica. Il risultato fu il piazzale, dove verranno ora issati due altissimi pennoni per imbandierare la chiesa in occasioni particolari”.
Del tutto singolare appare la provenienza dei due pennoni: l’articolo prosegue infatti affermando che essi “appartenevano a una linea d’alta tensione ferroviaria bombardata durante la guerra nella zona di Novi Ligure. Le bombe li avevano ridotti a moncherini apparentemente inutilizzabili, ma Don Cambiaso riuscì ad escogitare una possibilità di adattamento e, con l’aiuto gratuito di un operaio parrocchiano, raddrizzò e ricompose i moncherini metallici sino a trasformarli negli attuali eleganti pennoni”.
Sulla base di queste descrizioni si comprende dunque facilmente perché Don Cambiaso è stato qualificato “segugio delle macerie”: peraltro, come tiene a precisare molto onestamente lo stesso giornalista de “Il Secolo XIX”, la trattazione dei casi in cui il sacerdote ha cercato, trasformato e riutilizzato materiale nei modi più vari non è assolutamente esaustiva.
Alle piccole o grandi migliorie del complesso di San Giacomo Don Cambiaso si è dedicato senza mai risparmiarsi, lavorando persino di notte nel periodo in cui ricopriva l’impegnativo incarico di cappellano del porto, come racconta egli stesso nel già citato video “Pillole di saggezza di Don Giacomo Cambiaso”.
Per quanto operoso ed instancabile, Don Cambiaso non avrebbe naturalmente potuto portare a compimento tutti i suoi numerosi progetti se non fosse stato dotato di una notevole capacità di coinvolgimento: in particolare nei suoi racconti nel citato video su YouTube e nell’articolo de “Il Secolo XIX” del 3 giugno 1967 si fa spesso riferimento alla collaborazione dei parrocchiani, che per lui e per San Giacomo si sono prestati volontariamente e gratuitamente.
Emerge così una personalità generosa, fantasiosa, tenace e soprattutto dinamica, tanto che, come rilevato dal giornalista de “Il Secolo XIX”, Don Cambiaso è stato appunto definito come “prete dinamico”; nonostante sia passato ormai qualche decennio rispetto al periodo in cui ha lavorato più intensamente a San Giacomo, egli appare anche molto vicino alla sensibilità dei giorni nostri, in quanto l’idea di riciclare e di riutilizzare materiale destinato alla demolizione risulta di particolare attualità.
Descrivendo la figura di Don Giacomo Cambiaso e le sue tante iniziative, è stata trascurata la plurisecolare storia della chiesa dedicata al Santo di cui il sacerdote portava il nome: anche a questo riguardo vi sono molte fonti facilmente consultabili anche in rete, pertanto qui ci si limita ad un brevissimo cenno rilevando che una lapide in ardesia posta sopra il portone di ingresso ricorda la fondazione avvenuta nel 1347; l’edificio è stato distrutto da un incendio appiccato dagli austriaci nel 1746: la chiesa nella sua forma attuale è stata ricostruita successivamente1.
Se si ha l’occasione o se ci si trova nelle vicinanze, vale davvero la pena fare una visita a San Giacomo e all’omonima chiesa con il suo grande e panoramico piazzale: tra l’altro, il borgo si trova lungo il percorso del sentiero dell’acquedotto del 1600 recentemente ripristinato dal Circolo Ricreativo Culturale di Via Sertoli ed è quindi raggiungibile anche con una piacevolissima escursione.
1 http://www.valbisagno.altervista.org/028-il%20papa%20buono%20e%20il%20busto%20di%20Ciano.html
2 www.amezena.net/genova-quando/quando-cera-leroe-di-buccari/
3 http://www.webalice.it/vincenzothellung/Cronaca.html
4 Archivio di Stato di Genova, Prefettura Italiana, Opere Pie 377
Fonti
Il Secolo XIX” del 3 giugno 1967
http://www.valbisagno.altervista.org/028-il%20papa%20buono%20e%20il%20busto%20di%20Ciano.html
http://www.amezena.net/genova-quando/quando-cera-leroe-di-buccari/
http://www.webalice.it/vincenzothellung/Cronaca.html
https://archivio.unita.news/assets/main/1996/08/13/page_012.pdf
https://www.youtube.com/watch?v=Xm4N-HmcAXM
Archivio di Stato di Genova, Prefettura Italiana, Opere Pie 377
Il piazzale presso la chiesa di San Giacomo di Molassana
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