Un mese "d'oro"

 

 

 

Piccoli Imputati

Curiosando tra antiche sentenze genovesi

UN MESE “D’ORO”

 

(Sentenza del 16 ottobre 1863)

 

PROTAGONISTI

Salvatore V., di anni 14, abitante “in Genova dalla Marina di incontro ai Truogoli”, lavorante orefice

Michele Canevari, orefice

 

LUOGO

Genova

 

REATO

Furto qualificato

 

 

DATA

luglio 1863

 

 

         I fatti di cui tratta la sentenza sono avvenuti nel luglio 1863 presso il laboratorio di oreficeria di Michele Canevari, ove operava anche il quattordicenne Salvatore V., in qualità di garzone lavorante e salariato (come specifica la stessa sentenza); proprio quest’ultimo, suo malgrado, è il protagonista principale della vicenda.

         Il giovane è stato infatti imputato di furto continuato qualificato per la persona di tanto oro, pel valore di lire duecento, commesso in Genova a danno e nel laboratorio di Michele Canevari, presso cui si trovava in qualità di garzone e nel quale laboratorio era egli liberamente ammesso in detta qualità. Art. 607 n.4 del Codice Penale.”

In relazione a tale imputazione, egli risultava detenuto dal 27 luglio 1863.

         Il Tribunale del Circondario di Genova – Sezione Correzionale delle Ferie - valutava le risultanze di causa e riteneva fondata l’accusa, esprimendosi in questi termini: Dalle risultanze dell’orale discussione si ebbe la prova che il V. Salvatore di Emanuele si rese contabile del furto continuato di tanto oro lavorato nel laboratorio di Michele Canevari, e a danno dello stesso, del peritato valore di lire duecento nel periodo di circa giorni quindici anteriori al 25 luglio p.p., nel quale laboratorio si trovava il V. liberamente ammesso nella sua qualità di garzone lavorante e salariato (…) siffatta prova emerse non tanto dal detto dei testi intesi, quanto dalla stessa confessione dell’imputato”.

         Il Tribunale valutava l’età dell’imputato, maggiore degli anni quattordici e minore degli anni diciotto, e perveniva, con sentenza resa in data 16 ottobre 1863, alle seguenti conclusioni: “dichiara convinto il V. dal valore del reato teorizzato nel requisitorio del Pubblico Ministero. E letti gli art. 607 n. 4,683 e 56 del Codice Penale condanna il Salvatore V. alla pena di sei mesi di carcere, da computarsi dal giorno del di lui arresto, all’indennità che di ragione, ed alle spese. Mandando restituirsi al Michele Canevari le pallottole d’oro di cui in processo”.

         Egli è stato quindi accusato non di furto generico, ma di furto “qualificato per la persona”, vale a dire di un furto “commesso da un servo di campagna, da un operaio, da un allievo o compagno o impiegato qualunque, nella casa, bottega, officina, ed in altro luogo in cui è ammesso liberamente o in ragione della sua professione o del suo mestiere od impiego” (art. 607 n. 4 del Codice Penale allora vigente).

         Il fatto commesso da Salvatore V. costituisce un esempio paradigmatico di tale fattispecie di reato: egli ha approfittato della possibilità di accedere liberamente al laboratorio di oreficeria di Michele Canevari, in virtù della sua posizione di garzone lavorante, per impossessarsi del materiale ivi presente; materiale, peraltro, che doveva essere di notevole valore, sia per qualità che per quantità (in sentenza si parla di tanto oro lavorato).

         La sentenza appare caratterizzata da una certa durezza, peraltro pienamente giustificata considerata la gravità del fatto commesso da Salvatore V., il quale ha abusato della sua posizione per rubare a chi gli stava insegnando un lavoro.

         Anche oggi un fatto analogo, qualora accertato, verrebbe senz’altro punito duramente: si potrebbe trattare di un furto aggravato, in quanto l’art. 61 n.11 del Codice Penale attualmente vigente prevede infatti un aumento di pena se il reo ha commesso il fatto “con abuso di autorità, ovvero con abuso di relazioni di ufficio, di prestazione d’opera, dicoabitazione, o di ospitalità”.

         Oltre all’aspetto strettamente penale, una condanna per un fatto del genere potrebbe avere disastrose conseguenze sulla carriera lavorativa, ieri come oggi; nella sentenza in oggetto, peraltro, non si fa riferimento a questo aspetto, anche se è facile immaginare che il Canevari, una volta accortosi degli ammanchi, abbia allontanato dalla propria bottega il garzone infedele.

 

 

 

Fonte:

Archivio di Stato di Genova, Sentenze del Tribunale Penale di Genova, 5

 

 

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