GENOVA, MAGGIO 1986
I giorni immediatamente successivi al disastro nucleare di Chernobyl nel capoluogo ligure attraverso i quotidiani dell’epoca
Le prime notizie su un aumento della radioattività in Nord-Europa, a seguito dell’incidente nucleare avvenuto in Ucraina sabato 26 aprile 1986, sono state diffuse nelle edizioni dei giornali italiani di martedì 29 aprile 1986: tra gli altri, ne hanno dato conto anche i due giornali all’epoca più letti a Genova, vale a dire “Il Lavoro” e “Il Secolo XIX”.
Nelle edizioni di mercoledì 30 aprile 1986 si è trattato molto più diffusamente dell’allarme in Europa e in quelle di giovedì 1° maggio dell’arrivo in Italia della nube tossica.
Con particolare riferimento alla città di Genova, nelle edizioni de “Il Secolo XIX” e de “Il Lavoro” del 1° maggio sono stati fatti dei riferimenti a controlli sulla radioattività effettuati in città, da cui però non sarebbe emerso alcun dato preoccupante.
Di un aumento della radioattività a Genova si è parlato espressamente nell’edizione de “Il Lavoro” di sabato 3 maggio 1986 (come avviene ancora oggi, i giornali non escono il 2 maggio in modo da consentire ai giornalisti di rispettare la Festa del Lavoro); la prima pagina de “Il Secolo XIX” dello stesso giorno ha dato invece ampio risalto all’ordinanza del Ministro della Sanità Costante Degan, che vietava la somministrazione di latte ai bambini e la vendita di verdure fresche a foglie su tutto il territorio nazionale. Ovviamente l’ordinanza ha trovato immediata applicazione anche a Genova, creando moltissimi problemi economici a produttori, coltivatori, grossisti e rivenditori e costringendo gli spaventatissimi consumatori a cambiare le abitudini di acquisto e di consumo di prodotti alimentari di largo uso.
Peraltro, l’allarme radioattività ha investito anche altri aspetti della vita quotidiana, che verranno illustrati per sommi capi. La tragedia di Chernobyl è dunque arrivata prepotentemente anche nella città di Genova e così ha influito nelle vite dei suoi abitanti.
Acqua minerale
Subito dopo la diffusione dell’allarme radioattività si è verificato un vero e proprio assalto ai supermercati per acquistare acqua minerale in bottiglia. Inutili si sono rivelate le rassicurazioni degli esperti a proposito della sicurezza dell’acqua dei rubinetti: forse anche le indicazioni ministeriali, che avevano invitato la popolazione a non bere acqua piovana, hanno contribuito a generare una sorta di psicosi e di corsa all’accaparramento.
In alcune zone della città è stato inoltre osservato un aumento spropositato dei prezzi dell’acqua minerale: si è trattato di una vera e propria speculazione, che avrebbe sicuramente meritato qualche controllo più accurato da parte delle autorità competenti.
Fonti:
In poche ore da un solo supermarket sparite 20 mila bottiglie di minerale, Il Secolo XIX, 04/05/86, pagina 11, di M. Peschiera
La minerale alle stelle da 230 lire è passata a 450, Il Secolo XIX, 11/05/86, pagina 13
Acquedotto
La sicurezza e la potabilità dell’acqua del rubinetto è stata confermata dalle accurate analisi effettuate presso il lago del Brugneto, da cui è risultato un livello di radioattività molto inferiore rispetto alla soglia considerata di pericolo. Gli esperti hanno spiegato che l’acqua piovana si miscela con quella già esistente e si diluisce rapidamente; inoltre nel periodo di riferimento (mese di maggio, quindi primavera avanzata) la temperatura atmosferica favoriva la divisione delle acque, perché quella piovana rimaneva in superficie in quanto più calda di quella preesistente nell’invaso. La scarsa radioattività era quindi dovuta alla profondità dei pozzi del Brugneto e al fatto che l’acqua destinata agli acquedotti usciva dalle bocche più basse. Come se non bastasse è stato ancora specificato che la diversità di temperatura delle acque consentiva a quella piovana tutto il tempo di disintossicarsi.
Le autorità locali, sulla base di questi risultati assolutamente tranquillizzanti, sono state quasi ossessive nel rassicurare in più occasioni una cittadinanza comunque spaventata (è stato solo sconsigliato di bere acqua piovana, ma l’avvertenza è sembrata quasi ovvia).
Fonti:
Anche a Genova si chiede iodio. Per il Brugneto nessun pericolo, Il Lavoro, 03/05/86 pagina 1
Quasi nulla la radioattività nel Brugneto, Il Secolo XIX, 11/05/86, pagina 13, di F. Fini
Bambini
Sabato 3 maggio, vale a dire subito dopo l’inizio dell’emergenza, il Sindaco di Genova Cesare Campart, anche sulla base delle indicazioni provenienti dal Ministero della Sanità, aveva consigliato, con tanto di manifesti appesi ai muri della città, di “non consentire ai bambini di giocare nei prati e nelle aiuole, particolarmente dopo la pioggia”. Per fortuna nei giorni successivi il vento ha spazzato via la nube tossica e la situazione è decisamente migliorata, tanto che con il ritorno del sole dopo alcuni giorni di pioggia i bambini sono tornati a popolare i giardini e i parchi pubblici.
A escludere ogni forma di pericolo sono stati oncologi di fama mondiale, nonché i tecnici dell’Enea dati alla mano, che avevano convinto il Sindaco a ritirare l’invito a non far uscire i bambini. Analisi di laboratorio hanno inoltre accertato nell’acqua piovana una radioattività al di sotto dei livelli di guardia: pertanto anche eventuali pozzanghere, da cui del tutto comprensibilmente i bambini erano stati tenuti lontano, non potevano fare paura.
Peraltro in città non sembra si sia mai verificata alcuna psicosi, tanto che il Provveditorato agli Studi non ha rilevato alcun calo nella frequenza scolastica e nessuna disposizione per bloccare l’attività all’aria aperta.
Fonte:
I parchi tornati regni dei bimbi, Il Secolo XIX, 08/05/86, pagina 9, di S. Balestreri
Carne
Pur in assenza di alcuna formale proibizione, si era scatenata una vera e propria psicosi nella popolazione, probabilmente influenzata dai provvedimenti restrittivi circa la vendita di latte fresco, prodotto proveniente dai bovini come la carne.
L’allarmismo era peraltro del tutto ingiustificato per una serie di ragioni, come ha rilevato Lorenzo Lorenzetti, direttore sanitario dei servizi veterinari della Usl XV e come tale responsabile della buona qualità alimentare delle carni che arrivavano al mercato di Ca’ de Pitta. Egli ha sostenuto innanzitutto che le carni provenivano generalmente dall’Olanda, dalla Danimarca, dalla Francia e dalla Germania, nazioni non colpite direttamente dalla nube radioattiva, e non dai paesi dell’Est e che per ulteriore scrupolo, dopo i fatti di Chernobyl, era stato richiesto un certificato aggiuntivo oltre a quello sanitario del paese di origine. Lorenzetti ha inoltre osservato che gli animali macellati si nutrivano soprattutto di mangimi artificiali a lunga conservazione ed usufruivano scarsamente del pascolo, a differenza degli animali da latte che invece si nutrivano di cibo fresco e quindi più esposto alla radioattività; in ogni caso, per maggiore prudenza, anche a Genova venivano effettuati ulteriori controlli sulla carne in arrivo, prima di essere immessa in commercio.
La stessa tesi di Lorenzetti era stata esposta da Giovanni Coda, direttore del macello comunale di Ca’ De’ Pitta, e da Luigi Ballauri, presidente dell’Associazione Commercianti Carni Ovine e Bovine e membro del Comitato di Gestione della XIIIma Usl: quest’ultimo aveva avuto modo di precisare che la carne presente nei mercati e nei negozi genovesi non proveniva dai paesi dell’Est e che comunque era richiesto un certificato attestante l’assenza di inquinamento radioattivo. Inoltre la carne proveniva da allevamenti al coperto, con conseguente protezione degli animali dai pericoli per la radioattività eventualmente presente nell’aria oltre che nell’erba, cibandosi essi di mangimi artificiali come aveva rilevato anche Lorenzetti.
L’unica carne che poteva considerarsi pericolosa era quella proveniente dai Paesi dell’Est, in particolare dall’Ungheria, dall’allora Cecoslovacchia e dalla Polonia: peraltro gli animali di questi paesi erano stati bloccati alla frontiera, analogamente a quanto succedeva per conigli e pollami. In questo senso si sono espressi alcuni esperti riuniti in un seminario scientifico che si era tenuto presso il Dipartimento di Fisica ed in particolare il titolare della cattedra di Medicina Nucleare Paolo Bussoni; essi hanno rilevato che la carne contiene sostanze come il cesio che hanno una resistenza superiore ai venti anni: da qui la raccomandazione alla popolazione di non consumare carne proveniente dall’Est europeo.
Che questi timori non fossero del tutto infondati è stato dimostrato dal fatto che ancora a distanza di oltre un mese dall’inizio dell’emergenza sono stati riscontrati livelli sensibili di radioattività nelle carni di agnelli e di conigli: in alcuni campioni è stata infatti rilevata la presenza di cesio.
Fonti:
Ma a Genova non scoppia il caro-cibo, Il Lavoro, 07/05/86, pagina 5
Guida ai cibi meno radioattivi, Il Secolo XIX, 10/05/86, pagina 10
La nube istruzioni per l’uso, Il Lavoro, 10/05/86, pagina 6
Macelli: “Tranquilli, la carne non è pericolosa”, Il Lavoro, 10/05/86, pagina 6 “Nessuno ci ha mai detto che la carne è radioattiva”, Il Secolo XIX, 16/05/86, pagina 10
Niente paura la carne è buona, Il Secolo XIX, 17/05/86, pagina 10, di A. Besio
A Genova formaggio radioattivo, Il Lavoro, 05/06/86, pagina 1, di B. Persano
Il rebus radioattivo, Il Lavoro, 05/06/86, pagina 5
Condizionatori
Le disposizioni ministeriali hanno interessato anche gli impianti di ventilazione e condizionamento: in particolare in un telegramma il Ministero della Sanità aveva annunciato il divieto per un mese di toccare i filtri di tali impianti, in quanto la loro funzione di depurazione dell’aria avrebbe potuto trasformarli in accumulatori di radiazioni.
La misura ha riguardato in particolare gli impianti industriali, le strutture ospedaliere e tutti i casi in cui i volumi d’aria trattati erano nell’ordine di 100.000 metri cubi al giorno.
L’applicazione di tali norme è stata demandata alle Unità Sanitarie Locali.
Fonte:
Attenti al condizionatore, Il Lavoro, 17/05/86, pagina 6
Formaggio
Il 16 maggio 1986 il Presidente della Regione Liguria con un’ordinanza ha vietato la vendita e il consumo del latte ovino e dei formaggi freschi derivati come ricotta e caciotta. Tale ordinanza si è resa necessaria perché in precedenza, nei primi giorni dopo l’arrivo della nube tossica in Italia, era stata riscontrata in campioni di latte ovino e di ricotta la presenza di iodio 131, cesio 134 e iodio 137 in un livello superiore alla normalità.
Già prima di tale ordinanza comunque il consumo di formaggi freschi era molto diminuito a causa del più che comprensibile timore dei consumatori, che invece si erano giustamente diretti verso l’acquisto di quelli stagionati.
Ancora a distanza di più di un mese dall’inizio dell’emergenza in un negozio del quartiere di Albaro è stata sequestrata una caciotta perché risultata radioattiva. Le autorità sanitarie hanno inoltre bloccato il commercio della caciotta di latte misto pecorino e vaccino prodotta dal caseificio toscano da cui si era rifornito il rivenditore genovese. In via cautelativa è stato inoltre disposto il sequestro della caciotta toscana su tutto il territorio ligure.
Fonti:
Ma a Genova non scoppia il caro-cibo, Il Lavoro, 07/05/86, pagina 5
Addio ricotta, addio caciotta, Il Lavoro, 17/05/86, pagina 6
A Genova formaggio radioattivo, Il Lavoro, 05/06/86, pagina 1, di B. Persano
Frutta
Nonostante le più ampie rassicurazioni fornite dal Ministro della Sanità, è stato comunque caldamente consigliato alla popolazione di preferire la frutta con la buccia e per quella senza di ricorrere a particolari cautele, quali il lavaggio accurato e l’estrazione degli strati superficiali.
A Genova è stato segnalato un aumento del consumo di banane, perché contengono mercurio, e dei frutti esotici come il kiwi, perché la nube radioattiva non era arrivata ai Caraibi.
Come è facilmente immaginabile nel periodo in esame si è registrato inoltre un boom di frutta in scatola e sciroppata. Precauzione forse eccessiva, in quanto come è stato osservato almeno la frutta con buccia era da considerare assolutamente sicura.
E’ invece drasticamente calata la vendite di fragole, nonostante esse non fossero comprese nella lista dei prodotti vietati contenuta nell’ordinanza ministeriale emanata il 2 maggio 1986.
Fonti:
Ma a Genova non scoppia il caro-cibo, Il Lavoro, 07/05/86, pagina 5
“Compri questi zucchini li hanno raccolti un mese fa”, Il Secolo XIX, 07/05/86, pagina 9
La nube istruzioni per l’uso, Il Lavoro, 10/05/86, pagina 6
Rispunta il basilico sui banchi mentre le fragole fanno la muffa, Il Secolo XIX, 10/05/86, pagina 10, di E. Vassallo
Funghi
Dopo alcune analisi di campioni di porcini provenienti dai boschi di tutta la Liguria compiute dall’Assessorato regionale alla Sanità i funghi sono risultati perfettamente commestibili. Sono stati dunque fugati i comprensibili timori che si erano diffusi al riguardo.
Fonte:
La Regione: “I funghi non sono radioattivi”, Il Lavoro, 06/06/86, pagina 6
Gelati
Il Ministero ha invitato il Nucleo Antisofisticazione dei Carabinieri a compiere alcuni controlli anche nelle gelaterie per controllare che nella confezione dei gelati fosse rispettato il divieto di utilizzare il latte fresco. Tali controlli sono stati motivati dal fatto che i bambini, per i quali il consumo di latte fresco era proibito, sono tra i maggiori consumatori di gelato.
Alcune gelaterie si sono attrezzate utilizzando latte in polvere anziché latte fresco.
Peraltro non sono emersi né particolari controlli da parte dell’Ufficio di Igiene né significativi cali nei consumi.
Fonte:
Anche le gelaterie sotto controllo, Il Lavoro, 13/05/86, pagina 7
La Regione: “E’ buona la verdura”, Il Lavoro, 14/05/86, pagina 6, di F. Monteverde
Iodio
Subito dopo l’inizio del periodo di emergenza si è diffusa la convinzione che lo iodio potesse combattere la radioattività, con conseguente assalto alle farmacie e rapido esaurimento delle scorte. Anche i vigili sanitari del servizio di igiene pubblica sono stati subissati di richieste al riguardo da parte di molte persone spaventate.
In realtà le pillole di iodio non erano per nulla necessarie: come hanno rilevato fin da subito fonti accreditate l’acqua erogata nelle case era infatti assolutamente sicura in quanto la pioggia caduta il 1° maggio 1986 e sospettata di radioattività “diluita coi ventimila ettolitri del Brugneto si era già scrollata di dosso il passeggero atomico”. La somministrazione di iodio era quindi da ritenersi non solo inutile, ma addirittura dannosa, in particolare per i bambini che potevano rischiare come conseguenze l’ipotiroidismo e il ritardo mentale: ciò è stato autorevolmente sostenuto dal Professor Franco Cugurra, ordinario di Farmacologia dell’Università di Genova.
Fonti:
Anche a Genova si chiede iodio. Per il Brugneto nessun pericolo, Il Lavoro, 03/05/86, pagina 1
Tutti vogliono pastiglie allo iodio, Il Lavoro, 03/05/86, pagina 5
Cugurra: “Non date lo jodio ai bambini”, Il Secolo XIX, 07/05/86, pagina 9
“Non date lo iodio ai bambini”, Il Lavoro, 04/05/86, pagina 6, di P. Pastorino
Scorte di iodio quasi esaurite, Il Secolo XIX, 04/05/86, pagina 10
Latte
Nel tardo pomeriggio di venerdì 2 maggio 1986 il Ministro Degan emanava un’ordinanza che vietava il consumo di latte per i bambini sotto i dieci anni e per le donne incinte: appresa la notizia, il Sindaco di Genova non poteva fare altro che invitare i suoi concittadini a rispettare scrupolosamente tale ordinanza.
Rilevanti le conseguenze economiche nel comparto: nei giorni immediatamente successivi al divieto, in effetti, le latterie genovesi sono state costrette a ritirare il sessanta per cento in meno del latte confezionato.
Il provvedimento ministeriale è stato ritenuto infondato e foriero di notevoli danni economici dal Presidente dell’Amlat Bruno Moretti, insieme al Presidente delle Centrali del Latte italiane Franco Sommariva. A sostegno della sua tesi, Moretti ha affermato che il latte prodotto dalla Centrale di Genova non era pericoloso ed era indenne da ogni sospetto di radioattività. Alcuni produttori liguri, presenti alla conferenza stampa tenuta da Moretti, hanno inoltre fatto presente che il bestiame delle montagne liguri non mangiava erba fresca, ma fieno e formaggio secco e pertanto non poteva aver assimilato alcuna radioattività. Inoltre l’ordinanza sarebbe stata poco chiara perché vietava il consumo ma non la vendita del latte.
Forti critiche rispetto ai divieti ministeriali sono arrivate anche dai produttori e dagli agricoltori liguri, che lamentavano danni per circa cinque miliardi di lire.
Anche gli oncologi genovesi, riuniti in un convegno organizzato dall’EMBO (l’organizzazione europea di biologia molecolare), avevano espresso perplessità sul provvedimento ministeriale ed avevamo emesso un comunicato ufficiale nel quale ritenevano insussistenti i presupposti per il prolungamento della sua validità. In particolare la Professoressa Luisa Massimo, primario di Oncologia al Gaslini, ha rilevato che l’Italia era l’unica nazione ad avere emesso divieti e non semplici raccomandazioni nella nostra area geografica di riferimento e che, con particolare riguardo al latte, le mucche non avrebbero avuto il “tempo tecnico” per mangiare foraggio eventualmente inquinato e che gli animali non erano stati irradiati direttamente.
Per la verità non erano mancati pareri favorevoli rispetto all’opportunità dei divieti: fra queste si segnala quello di Carlo Papucci, tecnico addetto alla misurazione della radioattività ambientale, il quale aveva ammesso l’esistenza della radioattività nel latte e dei suoi derivati come il burro ed aveva invitato a non prendere la situazione sottogamba.
Come era ampiamente prevedibile, a seguito dei predetti divieti si è verificata un’ampia richiesta di latte a lunga conservazione, che ha portato spesso al rapido esaurimento delle scorte ed addirittura ad episodi di accese discussioni tra clienti per l’acquisto dell’ultimo cartoccio; in alcuni casi si è reso persino necessario il piantonamento degli stabilimenti (è stato segnalato che in un deposito della Parmalat ci sarebbe stato un assalto per rubare confezioni di latte a lunga conservazione).
Per evitare fenomeni di accaparramento la Coop Liguria ha dovuto addirittura disporre che ogni consumatore non potesse acquistare più di quattro contenitori di latte a lunga conservazione. Sempre con riguardo a questo specifico prodotto sono state segnalate in città diversi casi di speculazione, con improvvisi e sensibili aumenti di prezzo.
Peraltro ben presto l’allarme sulla pericolosità si è esteso anche al latte a lunga conservazione munto nei primi giorni di maggio, periodo in cui maggiore era stato l’influsso della radioattività nell’aria.
I funzionari dell’Amlat hanno così disposto che sul fondo del cartone fosse impressa anche la data del confezionamento, allo scopo di consentire ai cittadini di verificare il momento dell’impacchettamento del prodotto e di evitare che il latte munto e lavorato dal 2 maggio in poi potesse essere somministrato ai bambini al di sotto dei dieci anni e alle donne in stato di gravidanza.
Nello stesso solco si è inserita una nuova ordinanza ministeriale, la quale ha disposto che nelle confezioni di latte a lunga conservazione dovesse essere indicata la data di lavorazione del prodotto.
Le autorità sanitarie hanno quindi consigliato ai cittadini di bere il latte a lunga conservazione almeno quindici giorni dopo la data di confezionamento in quanto dopo tale periodo l’attività dello iodio 131 scendeva del 75%.
Ancora a distanza di circa due settimane dall’inizio dell’emergenza, una nuova ordinanza firmata dal Presidente della Giunta Regionale Rinaldo Magnani vietava la vendita e la somministrazione del latte ovino e caprino e dei suoi derivati con periodo di maturazione inferiore a quindici giorni.
Caduto finalmente il divieto, si è immediatamente verificata una corsa all’acquisto di latte fresco; molti consumatori, certamente dopo avere richiesto ampie rassicurazioni in ordine alla sua salubrità, si sono infatti decisi ad acquistare un prodotto considerato di qualità migliore come il latte fresco, la cui assenza, come ha affermato un commerciante, doveva essersi fatta molto sentire in particolare nelle famiglie con bambini.
Non si è quindi verificato il temuto ristagno della domanda nei primi giorni successivi all’abolizione del divieto, come ha osservato anche Ubaldo Biondi, direttore dell’Amlat.
Fonti:
Appello del Sindaco: “Rispettate i divieti”, Il Secolo XIX, 03/05/86, pagina 11, di A. Tempera
“Il nostro latte è sempre lo stesso”, Il Lavoro, 04/05/86, pagina 6
Ma la Centrale piange: dimezzate le vendite di latte, Il Secolo XIX, 04/05/86, pagina 10
In poche ore da un solo supermarket sparite 20 mila bottiglie di minerale, Il Secolo XIX, 04/05/86, pagina 11
Latte e verdura persi 5 miliardi, Il Lavoro, 06/05/86, pagina 5
Massimo: “Eccessive le misure del governo”, Il Secolo XIX, 07/05/86, pagina 9
Preallarme per il latte a lunga conservazione, Il Secolo XIX, 07/05/86, pagina 9
“E’ vero, si specula sui prezzi” Il Lavoro, 09/05/86, pagina 6
Tutto il latte è radioattivo, Il Lavoro, 08/05/86, pagina 5
Data di produzione sulle confezioni del latte “a lunga”, Il Secolo XIX, 08/05/86, pagina 8
“Il pericolo è nei cibi”, Il Lavoro, 10/05/86, pagina 6, di F. Monteverde
Vietato consumare il latte che “bela”, Il Secolo XIX, 17/05/86, pagina 10
Caccia al latte fresco, Il Secolo XIX, 27/05/86, pagina 8, di A. Tempera
Liquori
Sono state riscontrate tracce di radioattività nelle acque sorgive con cui si preparava il whisky, con possibile estensione del pericolo anche ai brandy e ad altri prodotti liquorosi.
Sono state ritenute da evitare anche le grappe artigianali.
Per chi proprio non riusciva a fare a meno dei digestivi gli esperti hanno consigliato di ricorrere a liquori con numerosi anni di invecchiamento.
Fonti:
La nube istruzioni per l’uso, Il Lavoro, 10/05/86, pagina 6
Pasta sì, whisky meglio se invecchiato, Il Secolo XIX, 10/05/86, pagina 10
Mamme
Subito dopo la diffusione delle prime notizie sulla nube radioattiva si è sparsa molta apprensione tra le donne in gravidanza, ansiose per le possibili conseguenze negative (alcune hanno temuto addirittura malformazioni genetiche) sui bambini portati in grembo.
In particolare, sono state numerose le telefonate giunte all’Aied (Associazione Italiana per l’educazione demografica) e ai Consultori della Asl da parte di gestanti preoccupate.
Ogni possibile pericolo è stato comunque escluso, come ha autorevolmente dichiarato il Professor Franco Santi, primario del reparto di Ginecologia ed Ostetricia dell’Ospedale Gaslini: sulla scorta dei dati forniti dalle autorità sanitarie nazionali, infatti, la dose di radioattività che una donna in gravidanza poteva avere ricevuto era comunque pienamente al di sotto dei livelli di guardia e quindi non foriera di alcun pericolo.
Qualche timore si è registrato anche per quanto riguarda l’allattamento: molte donne infatti che da poco avevano partorito sono andate al Pronto Soccorso chiedendo pastiglie di iodio, sostanza che secondo le loro convinzioni avrebbe dovuto combattere la radioattività. Anche in questo caso le autorità sanitarie cittadine hanno provveduto a tranquillizzare la popolazione: il già citato Ospedale Gaslini, subissato di telefonate da parte di neo-mamme preoccupate, ha infatti assicurato che si trattava di paure infondate e che non sussisteva alcun pericolo ad allattare i bambini.
Nonostante queste preoccupazioni a Genova, a differenza di altre città, non si è verificato rispetto alla normalità alcun aumento degli aborti; in particolare nel periodo di emergenza nucleare non è risultata alcuna richiesta di interruzione di gravidanza motivata dall’allarme radioattività.
Fonti:
“Nessun pericolo ad allattare i bambini”, Il Secolo XIX, 06/05/86, pagina 11
Paura di fare figli? L’esperto tranquillizza, Il Lavoro, 11/05/86, pagina 9
Le future mamme da sole nel drammatico dilemma, Il Secolo XIX, 23/05/86, pagina 11, di E. Vassallo
Pasta e riso
La pasta di grano duro e la pasta all’uovo non hanno presentato problematiche di alcun tipo, anche perché protette dalla confezione. Analogamente per il riso.
Per puro scrupolo è stato ritenuto preferibile ricorrere alla pasta confezionata anziché alla pasta fresca: con riferimento a quest’ultima, peraltro, non si è registrata a Genova alcuna diminuzione di consumo.
Fonti:
La nube istruzioni per l’uso, Il Lavoro, 10/05/86, pagina 6
Pasta sì, whisky meglio se invecchiato, Il Secolo XIX, 10/05/86, pagina 10
Pesce
Nessun problema si è verificato per l’acquisto e il consumo di pesce: gli esperti hanno rassicurato che la radioattività non si poteva diffondere in mare ed anzi hanno considerato il pesce come uno degli alimenti più adatti per combattere lo iodio 131 che la radioattività poteva avere scaricato nell’organismo umano. Non ha fatto eccezione neppure il pesce azzurro, diffusissimo in Liguria, che anzi è risultato ancora più consigliato avendo il più alto grado di iodio naturale, che faceva da barriera al già citato iodio 131. Anche i pesci di lago, di fiume e di torrenti sono stati considerati tranquillamente commestibili.
E’ stato invece sconsigliato il consumo di pesce proveniente da cave o stagni, che però non veniva venduto nei mercati; sono state ritenute da evitare anche le rane e le lumache a causa dell’habitat in cui si trovavano.
Del tutto conseguentemente il consumo di pesce è risultato in aumento nel periodo di emergenza radioattività.
Fonti:
Ma a Genova non scoppia il caro-cibo, Il Lavoro, 07/05/86, pagina 5
Nel pesce la barriera allo iodio 131, Il Secolo XIX, 10/05/86, pagina 10
La nube istruzioni per l’uso, Il Lavoro, 10/05/86, pagina 6
Pesto e prezzemolo
Un’ordinanza del Comune di Genova restituiva a decorrere dall’8 maggio 1986 la libertà di vendita e di consumo di pesto e prezzemolo, due sapori tipici della cucina ligure. Il provvedimento è stato motivato dal fatto che il basilico, ingrediente base del pesto, e appunto il prezzemolo si usavano in piccole dosi e che le due piante si coltivavano esclusivamente in ambienti protetti, cioè sotto serra.
E’ stato così revocato il precedente divieto emanato subito dopo l’inizio dell’emergenza, che aveva provocato notevoli danni nel comparto.
Nonostante la ricomparsa del basilico e del prezzemolo sui banchi del mercato, nei primi giorni di vendita libera molti consumatori si sono dimostrati ancora molto diffidenti e timorosi.
Fonti:
Per chi coltiva sarà un disastro, Il Secolo XIX, 04/05/86, pagina 10
Pesto e prezzemolo da oggi non più “galeotti”, Il Secolo XIX, 08/05/86, pagina 8
Rispunta il basilico sui banchi mentre le fragole fanno la muffa, Il Secolo XIX, 10/05/86, pagina 10, di E. Vassallo
Ristoranti e fast food
Anche ristoranti e fast food sono stati sottoposti a controllo da parte dei Nuclei Antisofisticazione su indicazione ministeriale, allo scopo di verificare se erano state usate verdure proibite.
I locali fast food si sono attrezzati togliendo la foglia di verdura dai loro panini con hamburger.
Fonte:
Anche le gelaterie sotto controllo, Il Lavoro, 13/05/86, pagina 7
Salumi
Per i salumi ed insaccati in genere non è emerso alcun pericolo in quanto si tratta di prodotti preparati molto tempo prima e comunque precedentemente all’arrivo in Italia della nube tossica. Probabilmente a causa di ciò il consumo di questi prodotti è risultato in aumento in tutta Italia dall’inizio del periodo dell’emergenza radioattività.
Fonte:
La nube istruzioni per l’uso, Il Lavoro, 10/05/86, pagina 6
Spiagge
Nonostante le più ampie rassicurazioni provenienti dalle autorità governative, la Regione Liguria per scrupolo e allo scopo di preservare la tranquillità generale ha disposto alcuni esami di campioni di sabbia: ciò anche perché alcuni pediatri avevano precauzionalmente sconsigliato ai genitori di portare i bambini al mare o comunque avevano invitato ad adottare qualche cautela in più rispetto alla normalità.
Per la verità già prima dei controlli era stato escluso qualsiasi problema dagli esperti in virtù di due particolari caratteristiche della sabbia quali la permeabilità, più elevata rispetto agli altri tipi di terreno, e la particolare capacità di assorbimento: eventuali particelle radioattive non potevano infatti che andare molto in profondità, con la conseguenza che il contatto con il terreno non poteva provocare alcun pericolo.
I controlli effettuati hanno pienamente confermato questa tesi: è stato infatti constatato che la radioattività era presente solo in profondità ma non alla superficie: insomma, i bambini potevano giocare tranquillamente sulle spiagge.
Fonti:
Col geiger sulle spiagge, Il Secolo XIX, 20/05/86, pagina 9
Controlli sule spiagge, Il Lavoro, 20/05/86, pagina 6
La Regione: “I funghi non sono radioattivi”, Il Lavoro, 06/06/86, pagina 6
Surgelati
A seguito dei divieti emanati subito dopo l’inizio dell’emergenza si è verificato un assalto alle verdure surgelate.
Anche i produttori di surgelati hanno dovuto comunque rispettare un’ordinanza ministeriale secondo cui l’immissione in commercio di prodotti vegetali raccolti dopo il 1° maggio 1986 e quindi surgelati non doveva avvenire prima di 15 giorni (tale è infatti il tempo di scomparsa del già citato iodio 131).
Gli industriali avevano comunque deciso di attendere i controlli specialistici prima di riprendere la produzione: pertanto i surgelati presenti in commercio potevano essere acquistati e consumati senza alcun rischio.
Fonti:
A caccia del super-ricercato introvabile. Il surgelato, Il Lavoro, 04/05/86, pagina 7
Black-out di 15 giorni per surgelare, Il Secolo XIX, 10/05/86, pagina 10
La nube istruzioni per l’uso, Il Lavoro, 10/05/86, pagina 6
Uova
Per quanto riguarda le uova non si è registrato nessun particolare problema in quanto le analisi effettuate hanno avuto esito negativo. Ciò potrebbe essere dovuto all’azione neutralizzante sulla radioattività della crusca, ingerita in gran quantità dalle galline. Sarebbe così venuto meno il pericolo costituito dal fatto che queste ultime si cibano di alimenti trovati sul terreno e quindi astrattamente più a rischio.
Si è comunque avuta notizia di un uovo dal peso record di 180 grammi, possibile conseguenza della radioattività.
Fonti:
La nube istruzioni per l’uso, Il Lavoro, 10/05/86, pagina 6
Le uova si possono mangiare, Il Secolo XIX, 10/05/86, pagina 10
Verdura
Subito dopo l’arrivo della nube radioattiva in Italia il Ministro della Sanità ha emanato un’ordinanza che prevedeva per quindici giorni il divieto di vendita di verdure fresche in foglia (dette anche “a foglie larghe”): le prime notizie al riguardo sono giunte a Genova nella tarda serata di venerdì 2 maggio 1986 anche se il telex ufficiale del Ministero è pervenuto in Prefettura alle 3 del mattino di sabato 3 maggio 1986.
All’interpretazione e all’applicazione del provvedimento a Genova ha provveduto immediatamente l’assessore all’annona Ivana Simonini a nome del Comune, la quale con apposita ordinanza ha specificato il contenuto del fogliame di cui parlava il provvedimento ministeriale: sono stati dunque considerati vietati fra l’altro l’insalata in genere, le bietole, i cavoli, il prezzemolo, il basilico, le erbe aromatiche e i carciofi. Subito dopo i 78 vigili disponibili sono stati spediti nei 68 mercati cittadini per bloccare la vendita dei prodotti vietati mentre circa 15 tir carichi di verdura “proibita” sono stati bloccati fuori dalle porte dei mercati generali. Circa 700 quintali di merce sono quindi risultati invenduti: per il relativo smaltimento si è deciso di concentrare tutti i mezzi della nettezza urbana al recupero della verdura, sospendendo il normale servizio di raccolta.
A nulla sono valse le rimostranze dei grossisti nei confronti della già citata assessore Ivana Simonini: quest’ultima non poteva fare altro che applicare le disposizioni ministeriali, impegnandosi al più a segnalare in Prefettura le varie problematiche connesse ai contenuti dell’ordinanza governativa.
Le contestazioni dei grossisti, espresse anche dai produttori e dai coltivatori, hanno riguardato in particolare il divieto di vendita dei prodotti ortofrutticoli coltivati in serra, che a loro parere dovevano ritenersi protetti e sicuri: da parte sua, il Ministero della Sanità ha invece giustificato il provvedimento sul presupposto che gli ortaggi coltivati al coperto, pur non potendo essere contaminati dalla ricaduta radioattiva, erano stati innaffiati con acqua proveniente dall’esterno e quindi potenzialmente contaminata: l’acqua per l’irrigazione, piovana o di pozzo, proveniva infatti dall’esterno.
Le misure prese dal Ministero sono state ritenute eccessive anche dagli oncologi genovesi: in un comunicato ufficiale i partecipanti ad un convegno hanno sostenuto che non sussistevano elementi scientifici tali da giustificare l’adozione e il prolungamento dei decreti. In particolare la Professoressa Luisa Massimo, primario di Oncologia al Gaslini, e il Professor Leonardo Santi, direttore scientifico dell’Istituto Tumori, dopo avere rilevato che l’Italia era l’unica nazione dell’area geografica di riferimento ad avere imposto divieti e non semplici raccomandazioni, hanno sostenuto che con l’accurato lavaggio della verdura a foglie larghe si sarebbe eliminato l’80% dell’eventuale materiale radioattivo.
Altri esperti, peraltro, hanno invece difeso l’opportunità dell’ordinanza, come il Professor Busuoli, dosimestrista dell’Enea di Bologna, e il Professor Gianrico Castello, docente di Chimica analitica e Chimica delle radiazioni presso l’Università di Genova: quest’ultimo, in particolare, ha rilevato che alcune sostanze radioattive pericolose, tra le quali lo iodio 131 che si concentra nella tiroide, vivevano più a lungo e che quindi bene aveva fatto il Ministero a stabilire in quindici giorni la durata del divieto; questo tempo avrebbe infatti consentito a queste sostanze la perdita della propria forza attiva.
Il provvedimento ministeriale ha ovviamente creato comprensibile disorientamento e incertezza fra i consumatori ed in particolare tra i clienti abituali del Mercato Orientale, il principale della città. Davanti ai banchi di frutta e verdura non sono infatti mancate discussioni preoccupate tra i consumatori circa l’effettiva pericolosità di alcuni ortaggi e il loro inserimento o meno nella “lista nera” del Ministero.
In concreto, i consumatori sono andati alla ricerca della confezione sicura e del cibo alternativo; mentre si è registrata desolazione nel reparto dei prodotti della terra, hanno fatto invece bella mostra di sé e sono risultate molto vendute patate e cipolle. Anche pomodori e zucchine hanno registrato un’impennata di vendite, con la conseguenza che su questi prodotti si è registrato un notevole aumento dei prezzi, se non addirittura una vera e propria speculazione (in alcuni casi i prezzi sono addirittura raddoppiati subito dopo l’arrivo della nube radioattiva per poi stabilizzarsi un po’ più in basso ma comunque ad un livello notevolmente superiore rispetto alla normalità).
Hanno retto inoltre i prodotti protetti dal baccello come i fagioli e le fave: anche in questo caso si è verificato un notevole incremento dei prezzi.
I divieti contenuti nell’ordinanza ministeriale, insieme alla legittima preoccupazione dei consumatori in ordine ai prodotti la cui vendita era comunque consentita, hanno ovviamente determinato un generale calo del giro di affari con notevoli danni per i produttori, i coltivatori e in generale per tutto il comparto agricolo, tanto che sono state evocate sovvenzioni e agevolazioni per sostenere un settore così importante per l’economia nazionale.
Oltre ai danni che si sono verificati nel periodo di vigore del provvedimento restrittivo sulla vendita dei prodotti ortofrutticoli descritti in precedenza, produttori e grossisti hanno temuto che anche dopo la loro liberalizzazione la clientela almeno in un primo tempo sarebbe stata restia ad acquistarli, con ulteriori conseguenze negative in ordine ai costi di distribuzione e con il rischio che molta merce sarebbe tornata indietro.
In tale prospettiva, al momento della cessazione dei divieti essi hanno preferito così portare gli ortaggi negli appositi centri di raccolta, ottenendo in cambio una sovvenzione, piuttosto che nei mercati, rischiando di non venderli.
La sospirata ricomparsa della verdura a foglie larghe sui banchi dei mercati è quindi avvenuta in modo molto timido e graduale, davanti ad una clientela ancora comprensibilmente timorosa di acquistare merce fino a qualche giorno prima messa al bando.
Fonti:
La lunga inutile notte del mercato, Il Lavoro, 04/05/86, pagina 7
Dietrofront al mercato, Il Secolo XIX, 04/05/86, pagina 11
In poche ore da un solo supermarket sparite 20 mila bottiglie di minerale, Il Secolo XIX, 04/05/86, pagina 11, di M. Peschiera
“Qui insalata fresca” ma nessuno la compra, Il Secolo XIX, 04/05/86, pagina 11
Vademecum del dopo-allarme, Il Lavoro, 06/05/86, pagina 5
Sui banchi del mercato, intanto, arriva l’ondata della speculazione, Il Secolo XIX, 06/05/86, pagina 10
Il rebus della verdura radioattiva, Il Secolo XIX, 07/05/86, pagina 8
“Compri questi zucchini li hanno raccolti un mese fa”, Il Secolo XIX, 07/05/86, pagina 9
Massimo: “Eccessive le misure del governo”, Il Secolo XIX, 07/05/86, pagina 9
Rispunta il basilico sui banchi mentre le fragole fanno la muffa, Il Secolo XIX, 10/05/86, pagina 10, di E. Vassallo
Il Ministero ha fatto bene a bloccare latte e verdura, Il Lavoro, 11/05/86, pagina 9, di Piero Pastorino
Atteso, ma con sospetto il ritorno della verdura, Il Secolo XIX, 14/05/86, pagina 10
“E se poi nessuno la compra? Nel dubbio meglio non venderla!”, Il Secolo XIX, 16/05/86, pagina 10, di A. Tempera