Rintocchi di carta

 

Tracce di Pedemonte

 

 

 

RINTOCCHI DI CARTA

 

 

 

Tracce di campane nell’archivio parrocchiale di Pedemonte di Serra Riccò (Genova)

 

“La voce delle campane è una presenza cara che, da tempo immemorabile, accompagna la vita delle persone e il cammino delle comunità scandendone i momenti più significativi.”1

“Per secoli, quando il campanile era l’unico mezzo di comunicazione, la voce delle campane ha regolato la vita sociale e ha sviluppato un vero linguaggio in codice, capace di comunicare alla comunità ogni evento che la riguardava.”2

“In tempi in cui non esistevano mezzi di comunicazione di massa, le campane svolgevano il ruolo di orologio dell’intera collettività, di richiamo per gli appuntamenti cittadini e di “radio” locale mediante linguaggio in codice musicale, non di rado specifico delle singole comunità.”3

Così avveniva anche nella Pedemonte dell’Ottocento e di inizio Novecento: il suono dei tre “Angelus” giornalieri, oltre ad invitare la popolazione alla preghiera, segnava per gli abitanti al mattino presto il momento del risveglio o dell’inizio delle attività agricole, artigianali o domestiche, a mezzogiorno quello della pausa, alla sera quello del rientro a casa o del termine del lavoro dopo una dura giornata.

Le campane suonavano inoltre in ben precisi momenti della settimana: ogni venerdì pomeriggio alle tre rievocavano la morte di Gesù in Croce (come attesta chiaramente un documento del 1854 dell’Archivio Parrocchiale di Pedemonte) e ogni domenica mattina, nonché nei giorni di festa, chiamavano a raccolta gli abitanti per la Santa Messa.

Ancora, le campane annunciavano alla popolazione importanti eventi quali nascite, battesimi, matrimoni, decessi, funerali, assolvendo così quella funzione di “radio” locale così ben illustrata nella citazione testé riportata.

Veramente si può dire che le campane accompagnavano, scandivano e segnavano i vari momenti della vita dei singoli abitanti e della intera comunità di Pedemonte dell’epoca.

 

 

1G. MERLATTI, Di bronzo e di cielo, Milano, 2009, p. 9

2G. MERLATTI, op. cit., p 59

3G. MERLATTI, op. cit., p. 63

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IL COMPENSO DEL CAMPANARO

                            

L’importanza delle campane a Pedemonte nel secolo XIX è attestata dai numerosi documenti dell’epoca ancora conservati nell’archivio parrocchiale, che ad esse fanno diretto o indiretto riferimento. Sono in particolare i libri dei conti della Parrocchia dell’epoca a rivelare le numerose spese sostenute al riguardo e quindi a dimostrare la cura che è stata sempre prestata per la gestione di tutto ciò che attiene alle campane.

Tra le uscite che compaiono nel libro dei conti del 1854 figura una spesa di Lire 7 e 10 centesimi “per fune corda per la campana grossa”. Tra quelle del 1869, l’acquisto di una fune per le campane, per un ammontare di 7 lire e 40 centesimi.

La materiale operazione di suonare le campane nei vari momenti della giornata e della settimana era infatti affidata ad una specifica figura, quale appunto il campanaro. L’attività era indubbiamente di un certo impegno in quanto richiedeva una costante presenza sul posto, in considerazione della molteplicità delle occasioni in cui le campane dovevano suonare. Legittimamente quindi era previsto un compenso per lo svolgimento di tale mansione.

Così fra le varie spese sostenute dalla Parrocchia nel 1808 risulta anche la corresponsione di una somma di 30 lire al campanaro Bartolomeo Frixone; esaminando ancora il libro dei conti del 1854, si rileva una spesa di 36 lire sostenuta per il compenso annuale versato al campanaro ancora di cognome Frixone (non si può escludere l’esistenza di una dinastia familiare di campanari), ma di nome proprio sconosciuto. A quest’ultimo era stato inoltre riconosciuto un supplemento di 2, 4 lire “per suonare i paternostri al venerdì”; proprio questo dato attesta l’usanza, cui è già stato fatto un cenno in precedenza, del suono delle campane ogni venerdì alle tre del pomeriggio, in commemorazione della morte di Gesù.

La figura del campanaro era chiaramente individuabile ancora nel 1890: dai libri dei conti relativi a tale anno risulta infatti la corresponsione al campanaro (qui non è specificata la sua identità) di un compenso di 100 lire.

 

 

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CAMPANE IN TRIBUNALE

 

Una fornitura di campane è stata al centro di una vertenza che ha visto coinvolta la Parrocchia di Pedemonte al punto da essere addirittura citata in giudizio davanti al Tribunale.

Vale davvero la pena ripercorrere, almeno a grandi linee, la curiosa vicenda.

Dunque, il giorno 11 agosto 1830 la Parrocchia di Nostra Signora di Pedemonte, in persona del Rettore Molto Reverendo Gaetano Castello, acquistava dai Fratelli Bozzoli, fonditori di metalli di Genova, tre campane nuove in bronzo, con tutti gli accessori come dadi di bronzo, battenti, ferri e ceppi; il materiale vario, con i relativi costi, è descritto dettagliatamente nel prospetto nel quale la Parrocchia si dichiarava espressamente debitrice delle spese ivi riportate, per un totale di Lire genovesi 3673,80, pari a Lire nuove di Piemonte 2938,721.

La Parrocchia si impegnava a pagare i fratelli Bozzoli in diverse rate; già in calce al prospetto datato 11 agosto 1830 vi è menzione di due pagamenti in contanti di 400 lire (genovesi) ciascuno, rispettivamente del 31 gennaio e del 16 dicembre 1833, che riducevano il debito a lire genovesi 2873,8: le relative ricevute sono ancora conservate negli archivi parrocchiali.

In una ricevuta di data anteriore a tali ricevute – 13 gennaio 1831 - i fratelli Bozzoli dichiaravano di avere ricevuto una paga acconto di Lire (genovesi) 500 per le “Campane di Bronzo, loro annessi”.

Sempre nel gennaio 1831, esattamente il giorno 17, il Rettore della Chiesa Parrocchiale Molto Reverendo Gaetano Castello, con i Massari della Chiesa (sulla loro funzione e qualità si avrà occasione di tornare fra breve), riconoscevano, con atto denominato “polizza di debito”, ai fratelli Bozzoli, fu Gio’ Batta, dedotto quanto già pagato in acconto, di essere creditori nei confronti di questi ultimi di “Lire nuove di Piemonte duemilanovecentotrentotto e centesimi settantadue”; essi si impegnavano a pagare il debito in rate annuali, “ciascuna delle quali non potrà essere minore di Lire nuove suddette 320, da pagarsi la prima alla fine dell’anno corrente e così le altre d’anno in anno”. Inoltre si obbligavano a pagare “all’epoca di ciascuna rata” l’interesse del cinque per cento all’anno (subito dopo, peraltro, era inserita una clausola secondo la quale gli interessi sarebbero stati pagati solo in caso di mancato pagamento della rata pattuita annuale).

Come si è già detto, risultano ancora le due ricevute di pagamento del 1833; in seguito la Parrocchia interrompeva i versamenti ai fratelli Bozzoli, come conferma una successiva dichiarazione del 1843 (sulla quale si avrà modo di tornare), a chiusura della vertenza.

Si arriva dunque al 1838, quando “nanti l’Illustrissimo Tribunale di Prefettura” tale Lorenzo Podestà, non in proprio ma nella qualità di “stralciario della cessata Ragione di Commercio sotto nome di Giuseppe e Giovanni Fratelli Bozzoli”, proponeva, in relazione alla fornitura di campane di bronzo, la causa contro “Li Signori: Reverendo Gaetano Castello Rettore della Parrocchia di Nostra Signora di Pedemonte e i suoi Massari, ed il Signor Antonio Tealdi, Sindaco del Comune di Serra”.

Si ritiene opportuno a questo punto formulare una breve disamina a proposito dei soggetti protagonisti della causa.

Si è appena visto che il ricorrente Lorenzo Podestà agiva nella qualità di “stralciario”; si trattava di un soggetto, paragonabile all’odierno liquidatore, incaricato di regolare e definire i rapporti giuridici alla chiusura di esercizio di una società, di una ditta o di un ente; quale era appunto nella fattispecie la “cessata” Ragione di Commercio dei Fratelli Bozzoli (peraltro, l’espressione “Ragione di Commercio” oggi non è più in uso nel linguaggio del diritto commerciale).

Tra i compiti dello “stralciario” vi era senz’altro quello di recuperare i crediti vantati dall’ente commerciale e maturati durante gli anni di esercizio effettivo dell’attività, se del caso ricorrendo per le vie giudiziarie. Ed è proprio ciò che aveva fatto nella fattispecie il Signor Podestà, dopo avere consultato i libri ed i registri della cessata Ragione di Commercio, dai quali risultava sicuramente il parziale inadempimento nel pagamento della fornitura delle campane da parte della Chiesa di Pedemonte e quindi il credito vantato nei confronti di quest’ultima: ciò trova conferma nel fatto che fra i documenti prodotti in giudizio dal Podestà a sostegno della propria domanda vi era anche l’estratto di conto dei libri dell’ente.

Quanto ai soggetti convenuti in giudizio, è facilmente comprensibile il motivo della citazione del Rettore Molto Reverendo Gaetano Castello: egli impersonava la Chiesa parrocchiale, in termini simili, se non analoghi, a quanto avviene oggi con il Parroco, che riveste la carica di legale rappresentante della Parrocchia che amministra. Peraltro il Rettore Castello era stato chiamato anche “in nome proprio”, come disponeva il Tribunale nella citazione a giudizio del 1° febbraio 1938.

Oltre al Rettore, erano stati citati in giudizio anche i Massari e il Sindaco.

I Massari erano gli amministratori del patrimonio della Parrocchia e costituivano nel loro insieme la Masseria, ovvero l’organo preposto all’amministrazione del patrimonio della Parrocchia e alla gestione degli affari.

Massaro” era infatti il nome dato anticamente ad amministratori di vario genere2, compresi i Fabbricieri (del tutto analogamente, “Masseria” corrisponde a Fabbriceria: del resto, in alcuni documenti relativi alla presente vertenza si fa riferimento alla “Fabbriceria”; i due termini erano dunque usati sostanzialmente come sinonimi).

Il Sindaco era stato citato in giudizio non per tale specifica carica ma quale Massaro di diritto, come si evince inequivocabilmente dalla lettura di alcuni atti del procedimento giudiziario in oggetto.

A fondamento della propria “supplica” (così veniva definita la domanda proposta al Tribunale) il Signor Lorenzo Podestà deduceva il parziale inadempimento della Parrocchia rispetto agli impegni assunti nel contratto di vendita del 1830 e nella successiva polizza del 1831; rilevava che i Massari e il Rettore “pagarono alcuni acconti, rimanendo però reliquatari debitori di Lire 2637 (si intendono qui, come negli altri atti giudiziari, lire piemontesi: siamo nell’ambito delle forme solenni di una causa davanti al Tribunale e quindi negli atti si doveva evocare la moneta ufficiale del Regno) e che a nessun risultato avevano portato portavano le varie “sollecitazioni e premure” (assimilabili a quelle che oggi si possono definire diffide al pagamento, che spesso precedono la proposizione della causa giudiziaria).

Il Signor Podestà chiedeva quindi che il Tribunale disponesse la citazione in giudizio dei convenuti e che condannasse questi ultimi “a dover dare e pagare all’esponente in detta qualità la predetta residuale Somma di Lire nuove duemilaseicento trentasette e centesimi 16 assieme agli interessi decorsi, e decorrendi entro breve termine prefiggendo a pena di esenzione, ed alle spese del giudizio”.

Si instaurava così il procedimento giudiziario. Con decreto del 1° febbraio 1838, “Il Tribunale di Prefettura in Genova sedente, vista l’alligata Supplica” citava i convenuti e faceva notificare loro il provvedimento.

Pochi giorni dopo compariva nanti il Tribunale il Causidico (figura assimilabile a quella dell’odierno avvocato) G.B. Garibaldo, a nome del Sig. Lorenzo Podestà, il quale insisteva nelle proprie domande, riservandosi di più ampiamente argomentare, nonché di chiedere il risarcimento dei danni ed il pagamento delle spese di giudizio.

Come risulta dai documenti pervenuti, si rendeva necessaria un’ulteriore notifica al Sindaco del Comune Antonio Tealdi, nella sua qualità di “Massaro di diritto”; in questo senso provvedeva il Tribunale nel marzo 1838.

Non risultano altri documenti sulla causa posteriori; peraltro, già l’11 maggio 1838 il Rettore Gaetano Castello, forse perché preoccupato per l’avviata procedura giudiziaria, riprendeva i pagamenti relativi alla fornitura di campane.

Così dichiarava il Signor Lorenzo Podestà: “Io sottoscritto nella mia qualità di stralciario della cessata ragione di commercio Fratelli Bozzoli dichiaro di ricevere dal Reverendo Gaetano Castello Rettore e Membro della Fabbriceria della Chiesa Parrocchiale di N.S. di Pedemonte la somma di Lire di Genova abusive 1125 quali mi paga acconto e capitale ed interessi del debito delle campane provvistole dai fratelli Bozzoli come risulta da contratto e lettere citatore rilasciate dall’Illustrissimo Tribunale di Prefettura il 1° febbraio 1838”.

Lo stesso 11 maggio 1838 il Signor Podestà, nella qualità, presentava il conto onorari e spese occorse nella causa; ciò induce a ritenere la causa interrotta con la ripresa dei pagamenti da parte della chiesa parrocchiale.

Negli anni successivi seguivano altri pagamenti (sono conservate dichiarazioni di ricevute datate 22 febbraio 1839, 29 gennaio 1840, 15 giugno 1841, 4 gennaio 1842), sempre di 400 lire genovesi ciascuno (pari a Lire nuove di Piemonte 320, come è espressamente specificato nella ricevuta del 4 gennaio 1842).

Infine, il 26 gennaio 1843, il Signor Lorenzo Podestà scriveva quanto segue, in calce alla polizza di debito del 1831: “dichiaro io sottoscritto di ricevere dal Molto Reverendo Sig. Gaetano Castello Rettore della Parrocchiale Chiesa di Santa Maria di Pedemonte la somma di Lire nuove di Piemonte cento sessanta sei e centesimi quaranta quale mi paga cioè Lire nuove centodiciotto e centesimi quaranta in saldo del debito delle campane come da Polizza sopra descritta; e Lire nuove Quarant’otto, a saldo pure degli interessi per transazione dovuta dai circa due anni che non pagarono le rispettive rate pattuite cioè dal 1835 al 1838, e di questa totale somma ne quito3 al Predetto Signor Rettore e Massari su espressi”.

La vertenza trovava così finalmente la sua definizione, a distanza di ben tredici anni dalla stipulazione del contratto di fornitura delle campane.

Proprio il tenore dell’ultima dichiarazione di ricevuta del 1843 conferma il già rilevato mancato pagamento da parte della Parrocchia delle rate pattuite per diversi anni; evidentemente, solo l’instaurazione della causa da parte dello stralciario della cessata ragione commerciale Fratelli Bozzoli doveva avere indotto - per non dire costretto- la Parrocchia a corrispondere il debito residuo per la fornitura di campane.

Desta in effetti un certo stupore il fatto che per arrivare alla definizione della vertenza sia stato necessario addirittura interessare il Tribunale di Genova, in un’epoca in cui il ricorso alle vie legali non era certamente diffuso come oggi ed in un contesto prettamente rurale come ci appare l’ambiente di Pedemonte dell’epoca.

Dai documenti conservati nell’archivio parrocchiale non è possibile risalire con certezza ai motivi del persistente inadempimento della Chiesa Parrocchiale nei confronti dei fratelli Bozzoli: si può ipotizzare una precisa volontà magari per l’insorgere di contrasti o di screzi con questi ultimi, oppure una semplice trascuratezza di quanti erano preposti alla gestione degli affari; è anche perfettamente possibile l’esistenza di oggettive difficoltà economiche, in considerazione della generale scarsità di risorse nella Pedemonte dell’epoca (il paese era in effetti popolato in gran parte da persone povere e analfabete, dedite ai lavori nei campi) non poteva non coinvolgere anche la Chiesa Parrocchiale, in rapporto con il presumibile elevato costo delle campane fornite dai fratelli Bozzoli. A favore della plausibilità di quest’ultima ipotesi si pone il fatto che, come si è visto, la ripresa dei pagamenti dopo l’instaurazione della causa è avvenuta in diverse rate annuali, in assenza di contestazioni.

Al di là della conferma della rilevanza anche in termini economici delle campane nella comunità di Pedemonte, la vicenda è molto interessante ed istruttiva anche in un’ottica più generale perché offre uno squarcio sullo svolgimento dei rapporti commerciali e persino sul funzionamento della giustizia dell’epoca.

 

 

1 Quest’ultimo dato è molto interessante perché rivela la resistenza del territorio di Genova, nonostante la sua appartenenza al Regno di Sardegna, alla diffusione della “Lira nuova di Piemonte”, unità monetaria ufficiale dello stato sabaudo istituita dopo la Restaurazione post-napoleonica da Vittorio Emanuele I con le Regie Patenti del 6 agosto 1816. Nelle pratiche degli scambi commerciali in Genova e nel Genovesato dell’epoca, infatti, continuava a circolare l’antica lira della Repubblica di Genova, detta appunto lira genovese (o lira fuori banco di Genova), talvolta con alcune varianti (come la lira fuori banco abusiva, detta buona). Ciò avveniva anche successivamente ad un ulteriore provvedimento del Re Vittorio Emanuele I del 26 ottobre 1826, con il quale si proibiva l’uso di tutte queste lire usate nella pratica e si confermava la lira nuova di Piemonte come moneta ufficiale anche nel territorio del Genovesato. Malgrado l’espressa disposizione reale, la consuetudine di contare in lire genovesi sopravviveva ancora per molti anni, anche per le grandi quantità circolanti di monete genovesi d’antico conio che le Finanze non erano riuscite a ritirare; solo un fattivo intervento della Camera di Commercio di Genova nel 1846, su sollecitazione degli stessi commercianti, poneva fine alla contemporanea circolazione delle lire genovesi nelle due varianti descritte, delle monete d’oro ed anche della moneta legale in lire nuove di Piemonte: tale miscuglio di monete aveva infatti provocato un grave intralcio allo sviluppo commerciale.

Una lira genovese corrispondeva a 0,8 lire piemontesi: ciò si evince dal precedentemente citato atto di acquisto delle campane dell’11 agosto 1830 ed ancora più chiaramente da una successiva dichiarazione di ricevuta del 1842, nel quale si specificava che 400 lire genovesi equivalevano a 320 lire piemontesi.

(Bibliografia: G. FELLONI, Monete e zecche negli Stati Sabaudi dal 1816 al 1860, in Scritti di Storia Economica, "Atti della Società Ligure di Storia Patria", n.s., XXXVIII, 1998, pp. 317-376).

2 Enciclopedia Treccani, vol. XXII, Roma, 1934

3 ne rilascio quietanza (n.d.r.)

 

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CAMPANE PICASSO PER SAN ROCCO

 

Nell’archivio parrocchiale è ancora conservato il verbale dell’importante ”adunanza” del 9 aprile 1905 nella quale la Fabbriceria1 della Chiesa Parrocchiale di Pedemonte, dopo avere confermato le persone di Giacomo Pedemonte e Pio Ronco nelle rispettive cariche di presidente e cassiere dell’ente, deliberava di provvedere a nuove campane per la cappella di San Rocco.

Dando seguito a quanto statuito al riguardo, poco tempo dopo, esattamente il 21 maggio 1905, la medesima

 

“Fabbriceria della parrocchia di Pedemonte, comune di Serra Riccò, provincia di Genova”

 

stipulava un contratto con

 

 

“Picasso Luigi fu Matteo, fonditore di campane, residente in Avegno, presso Recco, provincia di Genova”,

 

avente ad oggetto la fondazione di quattro campane da collocarsi sul campanile della Cappella di San Rocco.

Vale davvero la pena esaminare, sia pure per sommi capi, le varie clausole del contratto (un originale del quale è ancora conservato presso l’archivio parrocchiale).

La prima parte del primo articolo trattava delle modalità con le quali la ditta Picasso avrebbe dovuto svolgere l’operazione di fusione delle campane:

 

 

“le campane saranno fuse nel comune di Avegno nella fonderia della ditta Picasso, con regola d’arte, con buona voce e prolungata”.

 

A ciò seguiva la descrizione del tono (sono indicate specificamente le note con le quali doveva essere composto “il concerto delle campane”) e del peso (la più leggera pesava 160 kg, seguita da una di 208 kg e da un’altra di 294 kg, per finire con la maggiore e i suoi 400 kg).

Una volta pronte, le campane avrebbero dovuto essere trasportate da Avegno a Pedemonte su un carro, totalmente a spese della parrocchia, accompagnate da un dipendente della ditta Picasso a tutela della qualità del viaggio. Così prescriveva a tale proposito il secondo articolo del contratto:

 

 

fuse le campane il Picasso avvertirà la fabbriceria, e la medesima è obbligata a spedire un carro a sue spese per il trasporto delle campane da Avegno a San Rocco di Pedemonte, e la ditta per garanzia durante il viaggio manderà un suo dipendente ad accompagnare il carro”.

 

La scrittura privata continuava con l’impegno da parte del signor Picasso ad installare sul campanile la campana, garantendone il buon funzionamento “per anni dieci”, ed accollandosi, inoltre, un’eventuale nuova fusione in caso di rottura “per difetto di costruzione o d’arte” (terzo articolo). Il Picasso avrebbe dovuto provvedere a un risarcimento anche nel caso in cui il maestro di musica scelto dalla parrocchia per il collaudo delle campane non le avesse ritenute “a regola d’arte” (quarto articolo).

Il documento descriveva quindi le modalità di pagamento fissando il prezzo di lire 3 e centesimi 10 per ogni kg di campane e di 50 centesimi per ogni kg di materiale accessorio, come i ceppi. Le campane avrebbero dovuto essere collocate entro il mese di luglio del 1905 e, dopo il collaudo, la Fabbriceria avrebbe dovuto pagare mille lire. Il resto del compenso sarebbe stato spalmato sui successivi quattro anni (quinto-settimo articolo).

Nell’ottavo articolo il Signor Picasso si impegnava personalmente a rispettare il contratto anche in caso di scioglimento o cessione della ditta.

L’ultimo passaggio del testo contrattuale ne decretava la solennità:

 

“Letta la presente scrittura ad alta e viva voce alla presenza delle persone interessate, viene approvata e firmata”.

 

Seguivano le firme di Giacomo Pedemonte, presidente della Fabbriceria, di Pio Ronco, cassiere, degli altri membri dell’istituzione, del parroco Nicolò Ghigliotti e del titolare della fonderia Luigi Picasso.

 

Nell’archivio parrocchiale sono inoltre conservati due documenti relativi al trasporto delle campane, espressamente prefigurato dal citato secondo articolo del contratto.

Il viaggio avveniva in ferrovia nel tratto Recco-Bolzaneto, come risulta dal bollettino di consegna e della lettera d’avviso e ricevuta in arrivo, intestati entrambi ancora alla Società Italiana per le strade ferrate del Mediterraneo (peraltro, il bollettino di consegna reca il timbro Ferrovie dello Stato2). Il materiale, come si evince dai timbri apposti sui due documenti citati, partiva da Recco l’11 agosto per essere affidato allo “speditore” Fratelli Terrile e giungeva a Bolzaneto il giorno 13; un ulteriore timbro apposto in calce all’avviso di arrivo merci, sul retro della lettera d’avviso e ricevuta in arrivo, fa ritenere che il materiale fosse arrivato ad effettiva destinazione il giorno 14 (il timbro reca infatti la dicitura Serra Riccò 14/8/05).

Sono conservati anche altri documenti in stretta connessione con la fornitura di campane; particolarmente curiosa è la nota del 29 settembre 1905 inviata a non meglio specificati “Illustrissimi Signori” (fra di essi vi è sicuramente Luigi Picasso e presumibilmente gli altri componenti della fonderia Picasso) dal Sacerdote Nicola Ghigliotti, il quale chiedeva il rinvio alla domenica 8 ottobre del pagamento della somma di lire mille, in quanto nella domenica immediatamente successiva, ovvero il 1° ottobre, si celebrava la festa di Nostra Signora del Rosario “con grande solennità” (così come avviene ancora oggi).

Ed infatti reca proprio la data dell’8 ottobre la dichiarazione di ricevuta sottoscritta da Luigi Picasso, con la quale quest’ultimo attestava di avere incassato il primo acconto sulle campane fuse per la cappella di S. Rocco.

La ricevuta del secondo acconto porta la data del 23 settembre 1906; le altre ricevute, sempre sottoscritte da Luigi Picasso, portano la data del 4 agosto 1908, del 14 gennaio 1909, del 16 ottobre 1909, del 19 gennaio 1910.

A proposito di queste ricevute, tutte ancora conservate nell’archivio parrocchiale, è interessante notare che in alcuni casi il Signor Luigi Picasso dichiarava di avere ricevuto le somme dalla Fabbriceria o dal Presidente di essa (come nell’ultima ricevuta del 19 gennaio 1910), in altri direttamente dall’Reverendo Arciprete di Pedemonte. Al di là di queste sfumature, è comunque evidente che il soggetto passivo dell’obbligazione contrattuale deve essere considerata la Chiesa Parrocchiale nel suo complesso.

Si osserva inoltre che anche in questo caso la Parrocchia ha pagato in molteplici rate annuali, come del resto espressamente previsto dal contratto; non si può escludere che, come accadeva frequentemente, siano state difficoltà economiche ad impedire il pagamento dei fornitori in un’unica soluzione.

In ogni caso notevole doveva essere stato lo sforzo finanziario della Parrocchia per l’acquisto delle campane per il Santuario di San Rocco, così caro –allora come oggi- agli abitanti di Pedemonte.

 

1Fabbriceria: l’organo preposto ad amministrare il patrimonio e a contrarre le obbligazioni, negli stessi termini della Masseria.

2Ferrovie dello Stato: ente costituito nel 1905 allo scopo di nazionalizzare le ferrovie: con la nascita di tale ente, la Società Italiane per le strade ferrate del Mediterraneo ebbe espropriata buona parte della propria rete, riscattata dallo Stato.

 

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LA FUSIONE DI UNA CAMPANA

 

Le campane sono ancora le protagoniste di un documento risalente al 1929; in quell’anno, precisamente in data 6 ottobre 1929, la Fabbriceria deliberava di provvedere alla fusione della campana maggiore della chiesa; ciò “per evitare disgrazie”, come veniva scritto nel relativo verbale tutt’ora conservato: evidentemente sussisteva un concreto pericolo per l’incolumità pubblica.

L’incarico veniva affidato alla ditta Picasso di Avegno, proprio “quella stessa che fuse le campane di S.Rocco”, come viene espressamente specificato nel medesimo verbale; il quale recava la sottoscrizione, tra gli altri, del Presidente Cipriano Ghiglino, del cassiere Giovanni Lavagetto e del Parroco Nicolò Ghigliotti (denominato Arciprete).

A distanza di poco più di due mesi dalla deliberazione, precisamente in data 15 dicembre 1929, il Signor Matteo Picasso dichiarava di ricevere la somma di Lire 5.400 dalla Fabbriceria di Pedemonte per la fusione della campana maggiore. Il tenore del testo della ricevuta (anch’essa conservata presso l’archivio parrocchiale) fa ritenere che in questa occasione, a differenza di altre volte, il pagamento fosse avvenuto in un’unica soluzione, a lavoro concluso.

Anche in questo caso, peraltro, doveva essersi trattato di uno sforzo finanziario non da poco: il che conferma ancora una volta l’attenzione e la premura che la Chiesa di Pedemonte ha dedicato nel corso del tempo alle campane.

 

 

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OLTRE I DOCUMENTI

 

I moderni mezzi elettronici e i diversi orari e stili di vita delle persone rispetto ad un tempo hanno inevitabilmente sottratto importanza e centralità al suono delle campane.

Tuttavia, ancora oggi rimangono intatti il fascino e la sensazione di pace e di armonia che emana il suono delle campane, soprattutto nei centri più piccoli, giustamente celebrati in diverse opere letterarie ed artistiche.

Ovviamente oggi non esiste più la figura del campanaro così come era concepita nell’Ottocento e come è stata illustrata in precedenza.

Tuttavia i campanari, anche se paiono ad alcuni una specie a rischio, non sono in via di estinzione1; nel marzo 2005 si è costituita ufficialmente l’Associazione campanari liguri – sito internet www.campanariliguri.it -; l’Associazione, riconosciuta nel 2011 dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, si propone tra l’altro di promuovere studi e ricerche sulle campane e il loro uso curandone divulgazione e tutela storico-artistica.

Anche in molte altre regioni italiane esistono e sono attive associazioni di campanari: ormai dal 1960, ogni anno si svolge il raduno nazionale dei suonatori di campane nel quale vengono esibite le principali tecniche di suono delle diverse regioni.

In conclusione, le parole di due Papi:

 

 

Se le mutate condizioni dei tempi hanno oggi spento la voce ammonitrice di tanti nostri campanili, è pur vero che invariati rimangono, per la maggior parte degli uomini, quei momenti caratteristici della giornata: mattino, mezzogiorno e sera, i quali segnano i tempi della loro attività e costituiscono un invito ad una pausa di preghiera” (Paolo VI).

 

“Le campane delle chiese, aiutano a non dimenticare la domenica come il giorno del Signore, rappresentano la "voce di Dio" per chi crede e sono annuncio per chi non crede. È una bella cosa ascoltare il suono delle campane, che cantano la gloria del Signore da parte di tutte le creature. Lo scandire di rintocchi da parte di migliaia di campanili in tutto il mondo, è come una liturgia celeste che non può identificarsi nel segnare semplicemente le ore, ma nel colmare il tempo della sacralità e consacrarlo a Cristo, pienezza e Signore del tempo. Ciascuno di noi porta in sé una campana, molto sensibile. Questa campana si chiama cuore. Questo cuore suona e mi auguro che il vostro cuore suoni sempre delle belle melodie”. (Giovanni Paolo II).

 

1G. MERLATTI, Di bronzo e di cielo, Milano, 2009, p. 77

 

 

 

 Pedemonte di Serra Riccò (Genova) - Chiesa Santissima Annunziata

 

 

 

 

 

 Pedemonte di Serra Riccò (Genova) - Santuario di San Rocco

 

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