Una moneta per papà

 

 

 

Piccoli Imputati

Curiosando tra antiche sentenze genovesi

 

 

 

UNA MONETA PER PAPA’

(Sentenza del 23 luglio 1862)

 

PROTAGONISTI

 

Pietro C.

10 anni

nato ed abitante in Genova in via Perera n. 27

lavorante calzolaio

 

Lodovico Firpo

calzolaio

 

LUOGO

Genova, Bottega del calzolaio sita in Vico Dritto di Ponticello

 

REATO

Furto qualificato per la persona

 

DATA

I primi del mese di febbraio 1862

 

 

         Il protagonista della vicenda è Pietro C., un ragazzino di soli dieci anni che abitava a Genova in via Perera e che lavorava come apprendista nella bottega del calzolaio Lodovico Firpo, sita a Genova in Vico Dritto di Ponticello.

         Egli, in uno dei primi giorni del mese di febbraio 1862, aveva pensato bene di sottrarre una mezza Sarzana d’oro (si tratta di una moneta, come si specifica in un passaggio della sentenza) dal cassettino del banco della bottega, presso la quale egli poteva accedere liberamente in ragione della sua attività.

         Nei confronti di Pietro C. veniva aperto un procedimento dinanzi alla Sezione Correzionale del Tribunale del Circondario di Genova, con l’imputazione di furto qualificato per la persona.

         Nel corso del processo lo stesso inquisito ammetteva di avere prelevato la moneta d’oro e di averla consegnata a suo padre, “dicendogli che quella moneta l’aveva trovata”: in astratto, quindi, potevano sussistere i presupposti per una condanna.

         Peraltro, “dall’estratto di nascita di detto C.” risultava che quest’ultimo era nato il 10 settembre 1851: al momento del fatto contestato, quindi, egli aveva solo dieci anni e qualche mese.

         Il Tribunale, considerata la sua giovane età e rilevata l’assenza della prova del discernimento (come si afferma nella sentenza, l’art. 88 del Codice Penale allora vigente disponeva che “il minore degli anni quattordici, quando abbia agito senza discernimento, non soggiacerà a pena”), in data 23 luglio 1862 disponeva che “il Pietro Conti non può andare soggetto a pena visto l’art. 88 del cod. penale letto all’udienza. Ordina che lo stesso sia consegnato ai suoi parenti, facendo ad essi prestare sottomissione di bene educarlo e di invigilare alla sua condotta sotto pena dei danni, delegando a tal fine il Signor Giudice del Sestiere di Portoria. Manda infine che detto C. sia posto in libertà”.

         Il giovane Pietro C. – che dunque, come diremmo oggi, se l’era cavata subendo solo una “ramanzina” dal giudice- si era dimostrato nella vicenda piuttosto ingenuo e sprovveduto; in effetti, sembra quasi che egli fosse mosso più dalla volontà di regalare una moneta probabilmente preziosa al padre magari per renderlo felice che da quella di danneggiare il suo datore di lavoro. Nella fattispecie sembra quindi configurabile, tutt’al più, una stupida “ragazzata”, considerata l’età dell’autore del gesto.

         Analizzando la vicenda, il dato che semmai desta maggiore impressione è costituito dal fatto che il ragazzino fosse a soli dieci anni di età già impiegato presso la bottega del calzolaio, sia pure come apprendista; a quell’età, infatti, egli avrebbe dovuto frequentare la scuola anziché svolgere l’attività di “lavorante calzolaio” (così viene presentato nella sentenza il giovane Pietro C.), almeno alla luce dell’odierna sensibilità e dell’attuale legislazione: l’art. 5 del Decreto Legislativo 4 agosto 1999 n. 345, che ha modificato l’art. 3 della Legge 17 ottobre 1967 n. 977, dispone infatti che “l'età minima per l'ammissione al lavoro è fissata al momento in cui il minore ha concluso il periodo di istruzione obbligatoria e comunque non può essere inferiore ai 15 anni compiuti”.

         All’epoca del fatto, evidentemente, i ragazzini anche di età inferiore a quattordici anni dovevano essere ritenuti già maturi dalla società in generale e dall’ordinamento giuridico in particolare: una ulteriore dimostrazione in tal senso proviene dall’art. 88 del Codice Penale allora vigente, precedentemente richiamato, il quale come si è visto prevedeva l’imputabilità anche per i soggetti infraquattordicenni, purché fosse provato il discernimento; facendo ancora una volta un confronto con i nostri tempi, si consideri che il codice penale vigente prevede la loro assoluta non imputabilità, disponendo all’art. 97 che “non è imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, non aveva compiuto i quattordici anni”.

         L’esame della vicenda, in sé piuttosto banale, offre quindi uno squarcio sulla condizione dei ragazzi (oggi diremmo: ragazzini) di metà Ottocento, i quali già in giovanissima età potevano essere mandati presso botteghe o laboratori ad apprendere un mestiere (il caso in oggetto non doveva essere così raro o isolato).

         Fermo restando naturalmente il disvalore dell’azione compiuta, il giovane Pietro C. - per la sua giovanissima età, per la sua situazione lavorativa e per le motivazioni che lo hanno indotto a compiere il gesto - finisce così per suscitare agli occhi di un osservatore dei nostri giorni un sentimento più di tenerezza che di disapprovazione.

 

 

 

Fonte:

Archivio di Stato di Genova, Sentenze del Tribunale Penale di Genova, 1

 

 

 

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